domenica 16 marzo 2008

Nutrire la mente, nutrire il corpo

In questo periodo di festa, le gite fuori porta, gli inviti a pranzo di genitori e amici si sprecano. Tavole imbandite, menù ricchi di caloriche tentazioni, non per tutti sono momenti attesi e piacevoli, soprattutto per coloro che si sentono dire, così spesso in prossimità e durante queste celebrazioni: “Mangia. Almeno oggi, basta un po’ di volontà”.

I momenti di festa e di ritrovo intorno ad un tavolo per chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare, come l’anoressia e la bulimia nervose o di alimentazione incontrollata, sono tra i giorni peggiori dell’anno. Sono attimi di paura per queste persone. Eventi in cui una vera e propria malattia, alla quale hanno ceduto se stesse per tentare di risolvere il proprio disagio con i mezzi e le risorse a propria disposizione, le intrappola in un ossessivo vicolo senza apparente via d’uscita che consiste nella convinzione: ”vorrei mangiare come gli altri, ma non posso”, e le blocca in un conflitto assillante: “non posso mangiare/non posso non mangiare”.

Anche perché a volte amici e familiari, che con difficoltà ed inesperienza riconoscono certi comportamenti alimentari come malattie, insistono facendo leva sui sentimenti, puntando sulle presunte deboli qualità di carattere o sull’impiego della forza di volontà per “risolvere il problema”.
Così, gli inviti a pranzo e a cena che tipicamente accompagnano la Pasqua, come il Natale, spesso vengono vissuti con un timore intollerabile di perdere quello che si era raggiunto con la dieta, come una minaccia alla propria capacità di mantenere un controllo sull’ambiente e su di sé.

Controllo rigoroso e perfezionistico del cibo assunto e delle dimensioni corporee che è divenuto uno strumento-metafora di controllo della propria vita per sopperire al senso di inadeguatezza, inefficacia e disistima personale.

Sfortunatamente però, tutto ciò che queste persone rigidamente non si concedono, diventerà presto irrinunciabile. Ma rifiutare gli inviti è difficile, perché alla base della bulimia e dell’anoressia vi è anche la lacerante paura di rimanere soli, di non essere accettati. Ecco, allora, che chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare può non volere deludere amici e genitori e accetta l’invito con grande ansia, programmando in anticipo cosa e quanto mangiare, quali piatti evitare o in che grado poter rimediare e compensare se prevede di “cadere” in un’abbuffata.

Per oltre tre milioni di persone colpite da anoressia e bulimia in Italia, con un rapporto femmine/maschi di nove a uno, in definitiva, non è il mettersi a dieta che fa ammalare bensì la mancanza di un parametro interiore che funga da senso del limite, a causa di un disturbo ansioso sottostante.

Quindi l’obiettivo di diventare magri verrà sostituito da quello di non esserlo mai abbastanza. Divenendo il cibo uno strumento per acquistare sicurezza, autosufficienza, volontà e autoaffermazione nelle relazioni, oppure una risposta per non sentire la rabbia e la paura, un modo di prendersi “cura di sé”, la paura di prendere un chilo diventa la paura di tornare come prima o di non sapere più chi essere.
La scelta però, è paradossale e drammatica: o morire di morte fisica, o morire di morte psichica.

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