domenica 30 marzo 2008

Come uscire dal Panico e dall'Agorafobia

Abbiamo visto nelle precedenti pagine quali sono i sintomi del panico e dell’agorafobia. Quando un attacco di panico continua a ripresentarsi si soffre di Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) e in questo caso i sintomi psicologici diventano costantemente presenti. La persona inizia ad avere paura della paura. Durante le crisi di panico la persona ha paura di morire d’infarto o di impazzire.

Perché un terapia funzioni e quindi modifichi il comportamento è importante intervenire su 3 aspetti:
  • Cognitivo
  • Emozionale
  • Comportamentale.

Gli aspetti cognitivi sono: credenze, idee e pensieri della persona. Le risposte emozionali sono: sudorazione, tachicardia, tensione muscolare, etc. L’aspetto comportamentale invece è ciò che si osserva, cioè l’evitamento o la fuga.
Quando una persona ha una crisi di panico ha dei pensieri disturbanti (cognitivo), attiva intense risposte emozionali e tende ad evitare alcune situazioni. Un buona terapia aiuta il cliente a modificare i tre aspetti. Al termine della terapia non devono più esserci pensieri negativi, ma pensieri competitivi e positivi. Le risposte emozionali devono rientrare nella normalità e non devono essere più presenti evitamento o fuga dalla situazione ansiogena. Se rimangono ancora pensieri negativi o risposte emozionali intense, vi è il rischio che la persona ricada nelle crisi di panico, in quanto non ha realmente imparato a gestire tutti gli aspetti legati all’ansia.

La durata di una terapia per un disturbo da attacco di panico è di alcune settimane. In circa due/tre mesi la persona può essere in grado di gestire gli attacchi e di non averne più paura. Diventa come immunizzato. Sa come affrontarli e come controllare i propri pensieri. Il pensiero iniziale: “Speriamo che non mi venga una crisi di panico” diventa: “Venga pure io so come affrontarla”.

Tipi di depressione

I disturbi depressivi si presentano in forme differenti, esattamente come accade per altre malattie, come le patologie cardiache, per esempio. In questo articolo vengono descritti brevemente tre disturbi depressivi tra i più comuni. In ogni caso, all’interno di questi tre tipi ci sono variazione nel numero di sintomi, nella loro gravità e persistenza.

La Depressione Maggiore si manifesta come una combinazione di sintomi (si veda la lista dei sintomi più avanti nell’articolo) che interferiscono con abilità quotidiane, quali lavorare, studiare dormire, mangiare e provare interesse per le attività una volta ritenute piacevoli. Un tale episodio di depressione invalidante può accadere una volta sola, ma più comunemente si presenta diverse volte nella vita.
Un tipo di depressione meno grave, la Distimia, include sintomi cronici a lungo termine che non sono disabilitanti come i precedenti, ma portano l’individuo a “non funzionare bene” o a non sentirsi bene. Molte persone affette da distimia ad un certo punto della loro vita possono sperimentare anche episodi di depressione maggiore.

Un'altra forma di depressione è il Disturbo Bipolare, anche chiamato psicosi maniaco-depressiva. Sicuramente non prevalente come gli altri tipi di disturbi depressivi, il disturbo bipolare è caratterizzato da cambiamenti di umore ciclici: estremamente alti (mania) ed estremamente bassi (depressione). Alcune volte i cambiamenti d’umore sono rapidi e drammatici, ma più spesso sono graduali. Quando è nel ciclo depressivo, un individuo può avere uno o tutti i sintomi del disturbo depressivo. Quando si trova nel ciclo maniacale, l’individuo può essere iperattivo, logorroico e avere un eccesso di energia. La mania spesso influenza il pensiero, il giudizio e il comportamento sociale in modo tale da causare seri problemi e imbarazzo. Per esempio, la persona nella fase maniacale può sentirsi euforico, pieno di progetti grandiosi che potrebbero spaziare da decisioni finanziarie imprudenti, a romantiche baldorie. La mania, se non trattata, può degenerare in uno stato psicotico.

SINTOMI DELLA DEPRESSIONE E DELLA MANIA

Non tutti quelli che sono depressi o maniacali sperimentano ogni sintomo. Alcune persone provano pochi sintomi, altre molti. La gravità dei sintomi variano da persona a persona e nel corso del tempo.

Depressione

  • Persistenza tristezza, ansia o umore “vuoto”
  • Perdita di interesse o di piacere in quelle attività e hobby che in passato erano coinvolgenti e piacevoli, incluso il sesso
  • Sentimenti di pessimismo, mancanza di speranza
  • Sentimenti di colpa, inadeguatezza (essere senza valore), impotenza (essere senza aiuto)
  • Diminuzione di energia, affaticamento, sentirsi “a terra”
  • Difficoltà a concentrarsi, a ricordare, a prendere decisioni
  • Insonnia, risveglio mattutino precoce, o ipersonnia
  • Perdita di appetito e/o peso o sovralimentazione e aumento di peso
  • Pensieri di morte o di suicidio; tentativi di suicidio
  • Irrequietezza, irritabilità
  • Persistenti sintomi fisici che non rispondono al trattamento, come mal di testa, disturbi digestivi e dolore cronico

Mania

  • Euforia eccessiva o abnorme
  • Irritabilità insolita
  • Diminuito bisogno di dormire
  • Idee grandiose
  • Incremento dell’eloquio, logorrea
  • Fuga delle idee
  • Aumento del desiderio sessuale
  • Marcato aumento dell’energia
  • Povertà di giudizio
  • Comportamento sociale inappropriato

domenica 16 marzo 2008

Nutrire la mente, nutrire il corpo

In questo periodo di festa, le gite fuori porta, gli inviti a pranzo di genitori e amici si sprecano. Tavole imbandite, menù ricchi di caloriche tentazioni, non per tutti sono momenti attesi e piacevoli, soprattutto per coloro che si sentono dire, così spesso in prossimità e durante queste celebrazioni: “Mangia. Almeno oggi, basta un po’ di volontà”.

I momenti di festa e di ritrovo intorno ad un tavolo per chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare, come l’anoressia e la bulimia nervose o di alimentazione incontrollata, sono tra i giorni peggiori dell’anno. Sono attimi di paura per queste persone. Eventi in cui una vera e propria malattia, alla quale hanno ceduto se stesse per tentare di risolvere il proprio disagio con i mezzi e le risorse a propria disposizione, le intrappola in un ossessivo vicolo senza apparente via d’uscita che consiste nella convinzione: ”vorrei mangiare come gli altri, ma non posso”, e le blocca in un conflitto assillante: “non posso mangiare/non posso non mangiare”.

Anche perché a volte amici e familiari, che con difficoltà ed inesperienza riconoscono certi comportamenti alimentari come malattie, insistono facendo leva sui sentimenti, puntando sulle presunte deboli qualità di carattere o sull’impiego della forza di volontà per “risolvere il problema”.
Così, gli inviti a pranzo e a cena che tipicamente accompagnano la Pasqua, come il Natale, spesso vengono vissuti con un timore intollerabile di perdere quello che si era raggiunto con la dieta, come una minaccia alla propria capacità di mantenere un controllo sull’ambiente e su di sé.

Controllo rigoroso e perfezionistico del cibo assunto e delle dimensioni corporee che è divenuto uno strumento-metafora di controllo della propria vita per sopperire al senso di inadeguatezza, inefficacia e disistima personale.

Sfortunatamente però, tutto ciò che queste persone rigidamente non si concedono, diventerà presto irrinunciabile. Ma rifiutare gli inviti è difficile, perché alla base della bulimia e dell’anoressia vi è anche la lacerante paura di rimanere soli, di non essere accettati. Ecco, allora, che chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare può non volere deludere amici e genitori e accetta l’invito con grande ansia, programmando in anticipo cosa e quanto mangiare, quali piatti evitare o in che grado poter rimediare e compensare se prevede di “cadere” in un’abbuffata.

Per oltre tre milioni di persone colpite da anoressia e bulimia in Italia, con un rapporto femmine/maschi di nove a uno, in definitiva, non è il mettersi a dieta che fa ammalare bensì la mancanza di un parametro interiore che funga da senso del limite, a causa di un disturbo ansioso sottostante.

Quindi l’obiettivo di diventare magri verrà sostituito da quello di non esserlo mai abbastanza. Divenendo il cibo uno strumento per acquistare sicurezza, autosufficienza, volontà e autoaffermazione nelle relazioni, oppure una risposta per non sentire la rabbia e la paura, un modo di prendersi “cura di sé”, la paura di prendere un chilo diventa la paura di tornare come prima o di non sapere più chi essere.
La scelta però, è paradossale e drammatica: o morire di morte fisica, o morire di morte psichica.

sabato 15 marzo 2008

Cos'è un Disturbo Depressivo?

Un disturbo depressivo (o Disturbo dell'Umore, propriamente detto) è una malattia che coinvolge il corpo, lo stato d'animo e i pensieri. Influenza il modo in cui una persona mangia e dorme, i sentimenti che uno prova verso se stesso e il modo di vedere le cose.
Un disturbo depressivo non è come uno stato d’animo triste passeggero. Non è un segno di debolezza o una condizione che può essere superata solo desiderandolo o volendolo. Le persone con una malattia depressiva non possono semplicemente “tirarsi su da soli” e stare meglio. Senza un trattamento, i sintomi possono durare per settimane, mesi o anni. Trattamenti farmacologici e psicoterapeutici appropriati, in ogni caso, possono aiutare la maggior parte delle persone affette da depressione.

La depressione fa perdere interesse e piacere in quelle attività che in passato erano coinvolgenti, fa sentire esausti, senza valore (inadeguati), senza aiuto (impotenti) e speranza (disperati).
Alcune persone, travolte da questi sentimenti e schiacciate da questi pensieri negativi, si sentono sole e abbandonate. E' importamene comprendere che questo modo di vedere è parte della depressione e generalmente non riflette accuratamente le reali circostanze.

Le persone raramente si “liberano" dalla depressione, ma si sentono meglio giorno dopo giorno in risposta al trattamento. Non esiste “una” depressione, ce ne sono diversi tipi, così come diverse possono esserne le cause. Per alcune persone la depressione viene scatenata da importanti eventi di vita come un grave perdita finanziaria, lutti, cambiamenti sul lavoro. Per altre la depressione sembra essere più legata a fattori genetici ed ereditari. Altre ancora hanno la tendenza a manifestare la depressione in seguito ad esperienze di vita negative durante l’infanzia e l’adolescenza oppure in conseguenza di difficoltà familiari e burrascose relazioni strette o di isolamento sociale.
Va da sé che le persone possono avere una o più di queste difficoltà nel corso della loro vita, perciò sono necessari ampi e variegati trattamenti per affrontare la depressione: ciò che può essere utile per un persona può non esserlo per un’altra.

In generale per chi soffre di depressione possono essere d’aiuto le seguenti linee guida.


  • Pianificare le attività passo dopo passo, suddividere gli obiettivi e i problemi in piccoli e semplici passi e seguirli uno alla volta (è importante iniziare a convincersi che si è in grado di fare qualcosa). Includere nella giornata delle attività piacevoli (o che una volta erano piacevoli), anche molto semplici come incontrare un amico, guardare un film, fare un bagno caldo, ecc…

  • Frequentare altre persone e partecipare alle attività che fanno sentire meglio (aumenta le occasioni per distrarsi e diminuisce il tempo passato ad annoiarsi), in questo modo si passa meno tempo a rimuginare sui pensieri negativi; altre volte, invece, è opportuno ridurre i contatti sociali per creare degli “spazi personali” in cui realizzare e soddisfare i propri bisogni e desideri.

  • Cambiare il modo in cui trattiamo il nostro corpo: assumere una dieta equilibrata, praticare dell'esercizio fisico medio-intenso (produce sostanze chimiche che combattano la depressione e aumentano l’umore), ridurre l’uso di alcol e di sostanze eccitanti come il caffè, imparare a rilassarsi mediante appropriati esercizi respiratori e muscolari.

  • Soprattutto imparare ad essere comprensivi, pazienti, affettuosi e incoraggianti con se stessi, allorché le persone depressione hanno la tendenza a criticarsi, a giudicarsi severamente e a sentirsi in colpa e disperate.

Dal Panico all'Agorafobia

Quando si hanno più attacchi di panico è possibile diventare agorafobici. Si iniziano ad evitare alcune situazioni, si ha paura di stare male e che si presenti una nuova crisi di panico.

Gradualmente la persona evita di andare in macchina da sola, di entrare in un supermercato, di andare al cinema, etc.
I pensieri che ha chi soffre di agorafobia sono del tipo:
  • "Sono stato male in quella situazione, è meglio che la eviti."
  • "E' bene che mi faccia accompagnare da una persona fidata che mi possa aiutare quando sono fuori."
  • "Se sto male, come posso fuggire dalla situazione?"
  • "Speriamo che non vi venga un'altra crisi di panico."
  • "C'è troppa gente al supermercato, devo andare in un momento più tranquillo."
Questi pensieri creano un elevato disagio, sviluppano ansia anticipatoria. Si prevede che si starà male e si aumenta la probabilità che ciò accada. Il 30% delle persone che soffrono di attacchi di panico diventa agorafobico e circa il 60% può diventare depresso.
I comportamenti che emette chi soffre di agorafobia sono due: fuga ed evitamento.
Il comportamento di fuga si ha quando in una situazione si prova panico o si iniziano ad avvertire i primi sintomi. In questo caso la persona vuole allontanarsi dalla situazione temuta il più velocemente possibile. La fuga riduce rapidamente l'ansia, ma sensibilizza la persona alla situazione, cioè la persona tenderà in futuro ad evitare quella situazione.
Con l'evitamento si emettono comportamenti volti a ridurre l'ansia quando ci si trova in una situazione ritenuta pericolosa. Ad esempio ci si siede al cinema nelle file laterali, sull'autobus vicino all'uscita, si evita di andare in autostrada o in tangenziale.




Pubblicato su:  http://www.medicitalia.it/minforma/Psicoterapia/1223/Cos-e-l-attacco-di-panico

Cos'è un Attacco di Panico?

Nel disturbo di panico, brevi episodi di paura intensa (chiamati “attacco di panico”) sono accompagnati da una varietà di sintomi fisici (come palpitazioni e capogiri) e psicologici (paura di morire, di perdere il controllo, ecc…) che insorgono rapidamente e inaspettatamente in assenza di un'apparente minaccia esterna.

In un successivo articolo spiegherò come possa instaurarsi un attacco di panico e come esso possa svilupparsi in un vero e proprio Disturbo da Attacchi di Panico. In questa introduzione è sufficiente evidenziare come l'attacco di panico iniziale può avvenire quando una persona ha avuto situazioni di stress elevato. Possono essere problemi di lavoro, di studio o famigliari. Alcuni riferiscono di aver avuto crisi di panico dopo operazioni chirurgiche, malattie o la nascita di un figlio. Quando una persona è sotto stress per un periodo prolungato, rischia di avere una crisi di panico.
Molti confondono la crisi di panico con un momento di nervosismo. Chi ha avuto un attacco di panico sa che i sintomi che ha avvertito sono così intensi da essere convinto di morire, di impazzire, di perdere il controllo, di avere un ictus o un infarto.
La crisi iniziale di panico può essere avvenuta mentre si era in macchina o si camminava. In questi casi una persona può sensibilizzarsi alla situazione e quindi aver paura di stare male nella stessa situazione o in altre simili. Una crisi di panico generalmente dura pochi minuti e i sintomi si attenuano progressivamente in circa in un’ora. L'intensità e la rapidità dell'insorgenza del panico sono le caratteristiche che più debilitano e spaventano l'individuo. Successivamente la persona si sente spossata, come avesse fatto uno sforzo intenso.


Infatti, dopo la prima crisi, la maggior parte delle persone teme di avere un altro attacco di panico ed evita le situazioni nelle quali crede sia più probabile che ciò possa accadere. Questa paura (chiamata ansia anticipatoria o paura della paura) può interferire seriamente con la vita quotidiana delle persone, anche quando non hanno un attacco di panico. Per esempio, chi ha avuto un attacco di panico mentre guidava, può essere spaventato di trovarsi nuovamente al volante, anche solo per recarsi al lavoro.

Allora, il disturbo può raggiungere uno stadio avanzato nel quale si ha paura di trovarsi nelle situazioni o nei luoghi da cui potrebbe essere difficile fuggire o ricevere aiuto in caso di attacco di panico. Questa condizione è chiamata agorafobia.
Gli agorafobici spesso temono di trovarsi in mezzo alla folla, di rimanere in coda, di entrare nei supermercati e di viaggiare in macchina o sui mezzi pubblici. Il più delle volte queste persone rimangono all’interno di "zone di sicurezza", che possono comprendere solo la casa o le immediate vicinanze. Qualsiasi spostamento oltre i confini della "zona di sicurezza" crea un aumento d’ansia e necessitano della compagnia di una persona fidata per potersi muovere.

Per chi soffre di attacchi di panico non è fondamentale occuparsi in modo diretto del panico, quanto piuttosto del proprio modo di reagire al panico (credenze, pensieri e comportamenti in relazione al panico). Analizzando e modificando la loro relazione con il panico, impareranno a padroneggiarlo. La chiave per controllare gli attacchi di panico è smettere di fuggirli e imparare, al contrario, ad affrontarli e a gestirli.


I principali sintomi presenti nell’attacco di panico possono essere di natura fisica o psicologica.
Sintomi fisici:
- Fiato corto – Senso di soffocamento
- Tremore – Formicolio ed insensibilità alle mani
- Senso di oppressione – Dolore al petto
- Battito cardiaco accelerato – Palpitazioni
- Vampate di caldo e freddo
- Vertigini, capogiri, nausea – Testa leggera

Sintomi psicologici:
- Preoccupazione
- Paura di perdere il controllo
- Paura di morire
- Paura di impazzire
- Sensazione di distacco dalla realtà – Depersonalizzazione



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Ansia: emozione di allarme

L'ansia è un fenomeno complesso e normale di cui tutti facciamo esperienza in continuazione anche se in misura e con frequenza variabili. Provare ansia è universale ed inevitabile e, come le sue sorelle paura angoscia terrore panico, è una “emozione di allarme”. La reazione di allarme di fronte all’incombere di una minaccia, di un pericolo, accomuna l'uomo a tutti gli altri animali.
Il cervello attiva tutta una serie di meccanismi fisiologici, fra i quali l'aumento della frequenza cardiaca, del respiro e del tono della muscolatura, utile ad affrontare la situazione attraverso un comportamento di eliminazione della minaccia (attacco) o di allontanamento dal pericolo (fuga). Questo comportamento di “attacco-o-fuga”, lungi dall’esser pericoloso, è una reazione naturale e automatica dell’organismo.

Più precisamente, l'ansia è uno stato emotivo sgradevole caratterizzato da un sensazione di oppressione e di attesa di un qualche evento non ben definito e spiacevole. Si è infatti spesso preoccupati e timorosi in risposta ad un vago, non identificabile pericolo, di cui non se ne capisce l'origine e tanto meno il motivo. Tale stato è accompagnato da tensione e nervosismo e da una serie di sintomi fisiologici più o meno accentuati come palpitazioni, sudorazione fredda improvvisa, tremore, nausea.

Si ha paura, invece, per qualcosa di identificale, esterno e reale: l’altezza, i luoghi chiusi o aperti, i serpenti, le malattie, ecc…

Il panico è la forma più acuta d’ansia, più intensa, con una crisi che si scatena improvvisamente e rapidamente per poi in breve tempo esaurirsi.

L'ansia costituisce percio una reazione di difesa dell'organismo (correlata con l'istinto di sopravvivenza), volta ad anticipare la percezione del pericolo prima che questo sia chiaramente identificato.

Perchè si soffre? Teorie naif e teorie scientifche


Secondo voi, perché si sta male e si soffre?
E cosa possiamo fare per stare meglio?

Identificare le idee delle persone circa le cause della sofferenza (propria e altrui) e le aspettative per riuscire a risolverla è uno dei passi fondamentali che ogni buon psicoterapeuta deve compiere affinché la terapia possa “dare risultati”. Si, perché, se due persone collaborano insieme alla realizzazione di un progetto comune, è bene che siano condivisi i fini, i mezzi per raggiungerli e le spiegazioni che si danno sul perché si utilizzano quei mezzi per raggiungere quei fini.
Se così non fosse, paziente e terapeuta parlerebbero due linguaggi diversi e si troverebbero a percorrere strade diverse, senza capirsi e senza trovarsi. In tal caso la terapia naufragherebbe ancora prima di iniziare.

A grandi linee, è lecito affermare che ogni terapeuta ha un modello che spiega l’origine e il mantenimento della sofferenza degli esseri umani e delle procedure terapeutiche per risolvere il problema e ottenere la guarigione. Questo modello si rifà al personale iter formativo del professionista. Ma anche il paziente ha un’idea in proposito appresa durante la propria esistenza.

Da quanto si è detto è opportuno che le idee del paziente siano, se non le stesse, almeno sovrapponibili con quelle del terapeuta. Spesso le idee del paziente si basano su una psicologia del senso comune o teorie naif, più o meno distanti dal modello professionale del terapeuta; sta a quest’ultimo promuovere una ridefinizione e un avvicinamento delle idee del paziente alle proprie per dare senso al lavoro che si sta intraprendendo nel momento che si decide di iniziare una terapia.

Alcuni ricercatori hanno evidenziato l’esistenza di diverse teorie naif, tra queste:

  1. la teoria dell’artista;
  2. la teoria dello scienziato;
  3. la teoria dell’esploratore;
  4. la teoria dell’incapacità;
  5. la teoria del malfunzionamento biochimico o del sistema nervoso;
  6. la teoria delle cause esterne impersonali;
  7. la teoria relazionale.

Le prime tre sono molto simili alla teoria cognitiva e comportamentale (vedi il post su "Che cosè la Terapia Cognitiva e Comportamentale"), il modello al quale personalmente e professionalmente appartengo (e che adottano generalmente tutti i terapeuti cognitivisti), in cui sostanzialmente si ritiene che lo star male dipenda dal modo in cui ognuno vede se stesso, dal come valuta ciò che gli accade, dalle idee che ha in mente (scopi, desideri, bisogni, credenze, strategie, ecc…), anche se pensa che gliele abbiano messe in testa i genitori e dal proprio modo di comportarsi.

Nei prossimi articoli, oltre ad un approfondimento del modello cognitivista sulle cause della sofferenza e sui modi per porvi rimedio, darò una breve esemplificazione delle teorie naif proposte.

Caratteristiche della CBT

La CBT si caratterizza per le seguenti peculiarità:

  • È SCIENTIFICAMENTE FONDATA
    L'intervento clinico è strettamente coerente con le conoscenze sulle strutture e sui processi mentali desunte dalla ricerca psicologica di base. Inoltre, è stato dimostrato attraverso studi controllati che i metodi cognitivo-comportamentali costituiscono una terapia efficace. La CBT, infatti, ha mostrato risultati superiori o almeno uguali agli psicofarmaci nel trattamento della depressione e dei disturbi d'ansia, ma assai più utile nel prevenire le ricadute.
  • È ORIENTATA ALLO SCOPO
    Il terapeuta cognitivo-comportamentale lavora insieme al paziente per stabilire gli obiettivi della terapia, formulando una diagnosi e concordando con il paziente stesso un piano di trattamento che si adatti alle sue esigenze, durante i primissimi incontri. Si preoccupa poi di verificare periodicamente i progressi in modo da controllare se gli scopi sono stati raggiunti.
  • È PRATICA E CONCRETA
    Lo scopo della terapia si basa sulla risoluzione dei problemi psicologici concreti. Alcune tipiche finalità includono la riduzione dei sintomi depressivi, l'eliminazione degli attacchi di panico e dell'eventuale concomitante agorafobia, la riduzione o l'eliminazione dei rituali compulsivi o dei comportamenti alimentari patologici, la promozione delle relazioni con gli altri, la diminuzione dell'isolamento sociale, e cosi via.
  • È COLLABORATIVA
    Paziente e terapeuta lavorano insieme per capire e sviluppare strategie che possano indirizzare il soggetto alla risoluzione dei propri problemi. La CBT è, infatti, una psicoterapia sostanzialmente basata sulla collaborazione tra paziente e terapeuta. Entrambi sono attivamente coinvolti nell'identificazione e nella messa in discussione delle specifiche modalità di pensiero che possono essere causa dei problemi emotivi e comportamentali che attanagliano il paziente.
  • È A BREVE TERMINE
    La CBT è a breve termine, ogniqualvolta sia possibile. La durata della terapia varia di solito dai quattro ai dodici mesi, a seconda del caso, con cadenza il più delle volte settimanale. Problemi psicologici più gravi, che richiedano un periodo di cura più prolungato, traggono comunque vantaggio dall'uso integrato della terapia cognitiva, degli psicofarmaci e di altre forme di trattamento.

Che cos'è la Terapia Cognitiva e Comportamentale







La Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale (Cognitive Behaviour Therapy, CBT) dai suoi inizi negli anni '50 ad oggi, ha come base un approccio sperimentale. Ciò significa una verifica costante dei risultati ottenuti e un controllo sulla validità delle sue tecniche terapeutiche.

Sulla base di centinaia di accurati studi e ricerche che ne dimostrano l'efficacia, la CBT è riconosciuta terapia preferenziale per la maggior parte dei disturbi emozionali e comportamentali dalla comunità scientifica internazionale e ha assunto il ruolo di trattamento d'elezione per i disturbi d'ansia, così come attestano recenti documenti diffusi dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall'Istituto Superiore di Sanità (ISS).

La CBT è un approccio attivo, a breve-medio termine, strutturato, flessibile, orientato alla promozione di consapevolezza, pratico e concreto.

Alla base di tale approccio vi è l'idea secondo la quale non sarebbero gli eventi di per sè a creare sofferenza, ma come noi vediamo questi eventi (assunto già condiviso ai tempi del filosofo stoico Epitteto).

Quindi, l'origine e il mantenimento dei disturbi emotivi e comportamentali sono in gran parte il prodotto della rappresentazione soggettiva della realtà, ossia delle strutture e costruzioni cognitive dell'individuo.

La psicoterapia cognitiva e comportamentale si propone, di conseguenza, di aiutare le persone ad individuare i pensieri ricorrenti e gli schemi disfunzionali di ragionamento e d'interpretazione della realtà responsabili della propria sofferenza (denominati perciò disfunzionali), al fine di sostituirli e/o integrarli con convinzioni più funzionali al proprio benessere.

La CBT integra due forme di psicoterapia: la Terapia Cognitiva e la Terapia Comportamentale.
La Terapia Cognitiva aiuta le persone ad apprendere come pensieri, convinzioni e credenze contribuiscano spesso a creare una visione soggettiva di se stessi, degli altri e del mondo che contribuisce a originare e mantenere i sintomi del paziente facendolo sentire, per esempio, molto ansioso, depresso, in colpa o arrabbiato.
La Terapia Comportamentale insegna alle persone a reagire in modo differente alle situazioni problematiche. Si focalizza sul cambiamento di specifiche azioni, utilizzando diverse tecniche per diminuire o eliminare comportamenti che creano disagio e aumentare o acquisire comportamenti che favoriscono una migliore qualità di vita.

Benvenuti!

Mi chiamo Fabrizio Tabiani e svolgo la professione di psicologo e psicoterapeuta a Torino, presso lo Studio di Psicoterapia, in c.so Monte Grappa, 59, a Saluzzo (CN), presso lo Studio Medico di via della Resistenza 16/A ed ad Alba (CN), presso lo Studio di Psicologia in v. Pertinace, 1.

In questo studio virtuale è mia intenzione raccogliere considerazioni, idee e curiosità personali sui disturbi psicologici ed emozionali che più comunemente tratto nella mia pratica clinica, come quelli legati all'ansia, alla depressione, all'alimentazione e alle difficoltà relazionali.


Buon soggiorno.