sabato 7 febbraio 2009

Lo stile di attaccamento evitante



Lo stile di relazione che un bambino sviluppa dalla nascita in poi dipende in grande parte dal modo in cui i genitori (o altre figure di riferimento) interagiscono con lui. In particolare, la qualità delle nostre relazioni è determinata dal tipo di attaccamento che si instaura con la “figura di attaccamento”.

Il sistema motivazionale dell’attaccamento è un sistema biologicamente preordinato a ricercare la vicinanza delle figure di protezione e di accadimento. E’ attivo sin dalla nascita, e collegato a questo è il sistema motivazionale dell’esplorazione che spinge verso la conoscenza del mondo.
Gli stili di attaccamento più diffusi e conosciuti sono tre: sicuro, evitante e resistente alla separazione.

Il legame insicuro evitante è caratterizzato da una relazione non calorosa tra la figura di attaccamento e il figlio.
Generalmente questo tipo di attaccamento si osserva allorché, dopo un periodo di separazione (tipicamente) dalla madre, il bambino, al momento del ricongiungimento, non esprime aperte manifestazioni di rabbia o protesta oppure può mostrarsi apparentemente distaccato e indifferente. Questo atteggiamento di solito si riscontra in bambini con madri rifiutanti o comunque poco propense alla comunicazione emotiva e più interessate a promuovere l’autonomia e l’autocontrollo.

I bambini che esperiscono una madre che scoraggia o rifiuta il contatto fisico quando il bambino sta male o ha paura, sono più propensi a sviluppare questo tipo di attaccamento. Le figure genitoriali possono non rispondere alle loro richieste, rifiutarsi di aiutarli o si arrabbiano quando i figli si avvicinano a loro. Per la paura e il timore della delusione il i bambini tendono a reprimere bisogni ed emozioni, a non chiedere e a non farsi vedere bisognosi, evitando di chiedere aiuto e mostrarsi bisognosi anche quando ne avrebbero davvero bisogno.

Sostanzialmente il bambino tenderà a sviluppare un senso di non amabilità personale; è probabile che il proprio stile relazionale sarà caratterizzato dalla convinzione che, alla richiesta di aiuto, non solo non incontrerà la disponibilità della figura di attaccamento, ma addirittura verrà rifiutato. In questo modo il bambino costruisce le proprie esperienze facendo esclusivo affidamento su se stesso, ricercando l’autosufficienza anche sul piano emotivo, avverrebbe, quindi un buono sviluppo intellettuale a scapito della sfera affettiva.

Da adolescente e poi da adulto potrebbe affermare la propria indipendenza, essere perfezionista, ma allo stesso tempo evitare la vicinanza emotiva e l’affettività perché non adeguatamente attrezzati a gestire le emozioni e nutrire significative insicurezze personali e dubbi sulle proprie qualità e capacità, inoltre potrebbe mostrare difficoltà e insicurezze nell’esplorazione del mondo, rappresentazione di sé come persona sostanzialmente non amabile e non amata, percezione e aspettative di distacco, rifiuto e abbandono come “prevedibili” e “certe”, tendenza all’evitamento dell’intimità delle relazioni per paura e convinzioni di rifiuto e doloroso abbandono, apparente esclusiva fiducia in se stessi e nessuna richiesta di aiuto.

Lo stile di cominucazione Assertivo/Affermativo

I signori Rossi sono a pranzare in un ristorante. Il sig. Rossi ha ordinato una bistecca al sangue, ma quando gliela portano, la trova molto cotta, contrariamente a quanto aveva chiesto.
Il sig. Rossi chiama il cameriere al suo tavolo. Sottolineando che ha ordinato una bistecca al sangue, gli fa vedere quella molto cotta, chiedendo gentilmente, ma fermamente, che sia riportata in cucina e sostituita con quella che aveva originariamente richiesta. Il cameriere si scusa per l'errore, ed in breve tempo ritorna con una bistecca al sangue. I signori Rossi si godono il pranzo, danno la mancia e il sig. Rossi si sente soddisfatto di sé. Il cameriere è compiaciuto per il cliente soddisfatto e per la mancia adeguata.

Il sig. Rossi si è comportato assertivamente.
Siamo assertivi quando: accettiamo il punto di vista altrui; non giudichiamo; non insultiamo o colpevolizziamo gli altri; ascoltiamo il parere altrui, ma decidiamo in modo autonomo; siamo pronti a cambiare la nostra opinione; non permettiamo che gli altri ci manipolino; non pretendiamo che gli altri si comportino come fa piacere a noi; ricerchiamo l’altrui collaborazione; ci valutiamo in modo adeguato. Assertività è sinonimo di affermatività: difendere e far valere i propri diritti, esprimere i propri sentimenti, chiedere ciò che si desidera, esporre i propri punti di vista, affermare le proprie scelte con integrità, onesta, franchezza e rispetto degli altri.

L’assertivo si colloca tra il passivo e l’aggressivo.
Non cadendo nella “sfida” dell’aggressivo e non infierendo sul passivo, l’assertivo rispetta se stesso e gli altri nella stessa misura ed. è in grado di gestire le relazioni interpersonali senza provare disagio. Nell’affrontare le situazioni di disagio l’assertivo si focalizza su se stesso, laddove il passivo e l’aggressivo si concentrano sugli altri per diminuire il loro disagio.

L’assertivo dice “Io”, il passivo e l’aggressivo dicono sempre “Tu”: “Tu mi fai star male”, “Tu non mi capisci”. Notate la differenza tra il dire con fermezza: "Sono esasperato dal tuo modo di fare!" e: "Sei un gran maleducato…”. Le persone che esitano perché non sanno cosa dire, scoprono che la pratica del dire qualcosa, dell'esprimere i propri sentimenti sul momento, è un apprezzabile gradino verso una maggiore assertività.

L’assertivo parla dei suoi sentimenti personali, non di "cose oggettivamente giuste". Non fa la predica agli altri su ciò che è giusto e ciò che è sbaglia­to, ma si concentra sulla proprie inclinazioni personali, senza considerarle regole universali. Usa frasi che iniziano con “Mi sento”: “Mi fa arrabbiare che tu... Non mi piace che tu...”. Non si mette sulla difensiva, non giustifica troppo le sue emo­zioni, può però fornire ragioni. Inoltre, chiede cambiamenti specifici di comportamento. Esprime esatta­mente all'altro cosa si aspetta che faccia per risolvere la situazione, consapevole che le sue richieste possono essere rifiutate.

Critica i comportamenti, non le persone. Dice: "Non mi piace che butti a terra i calzini", non: "Sei disordinato". Sa quali sono i suoi scopi. Se l'altro protesta, ha imparato a rimanere semplicemente sulla sua posizione, continuando a non perdere di vista il suo obiettivo. Le persone hanno il diritto, ma non l’obbligo di essere assertive. Nelle scelte individuali siamo responsabili delle conseguenze delle nostre scelte. Ciò che è importante è l’esistenza o meno di una scelta reale.
Alcune persone non possono scegliere di essere assertive a causa dell’ansia, di scarse abilità sociali o di rigide convinzioni su ciò che è giusto o sbagliato. La meta finale è esprimere noi stessi onestamente e spontaneamente e allo stesso tempo incoraggiare ed accettare questo comportamento negli altri.

Lo stile di comunicazione aggressivo

I signori Rossi sono a pranzare in un ristorante. Il sig. Rossi ha ordinato una bistecca al sangue, ma quando gliela portano, la trova molto cotta, contrariamente a quanto aveva chiesto.
Il sig. Rossi chiama rabbiosamente il cameriere al suo tavolo. Lo riprende villanamente e ad alta voce per non aver eseguito il suo ordine. Le sue azioni ridicolizzano il cameriere ed imbarazzano la moglie. Egli pretende, e riceve, un'altra bistecca, questa secondo i suoi desideri. Sente di avere la situazione sotto controllo, ma l'imbarazzo della signora Rossi crea frizione fra di loro e rovina la serata. Il cameriere si sente umiliato ed arrabbiato e perde il suo equilibrio per il resto della serata.

Il sig. Rossi si è comportato aggressivamente. Essere aggressivo non vuol dire necessariamente esercitare violenza fisica sugli altri. Atteggiamenti, modi di fare e di esprimersi che hanno in comune la violazione dei diritti altrui e l’indifferenza nei confronti dei loro stati d’animo caratterizzano i comportamenti aggressivi.
Come nel caso del sig. Rossi, un atteggiamento aggressivo permette il più delle volte di ottenere ciò che si vuole. La persona aggressiva non riconoscere facilmente l’inadeguatezza del suo comportamento. Spesso non si rende conto del disagio che crea negli altri; per l’aggressivo “va tutto bene”, “non ci sono problemi” e se ci sono, “sono problemi degli altri”.
Queste persone, però, col tempo pagano le conseguenze del loro modo di comportarsi: si circondano di persone tanto più passive, quanto loro saranno più aggressive o creeranno attorno a sé terra bruciata, perché gli altri tenderanno ad evitare la loro compagnia. Costantemente centrata su di sé e, quindi, profondamente egocentrica, la persona aggressiva giudica gli altri degli inetti. Pertanto tende a entrare in conflitto con altri aggressivi e si circonda di passivi.
Essenzialmente considera i suoi giudizi alla stregua di leggi universali. Ad esempio, se “mi piace/ non mi piace” è un commento assertivo, “è bello/ fa schifo” è un tipico giudizio aggressivo: con i propri criteri, l’aggressivo giudica anche per gli altri (in realtà una cosa che può piacere a qualcuno, non è detto che possa piacere ad un altro).

Si è aggressivi quando: vogliamo che gli altri si comportino come fa piacere a noi; non modifichiamo la nostra opinione su qualcuno o qualcosa; decidiamo per gli altri senza ascoltare il parere degli interessasti; non accettiamo di poter sbagliare; non chiediamo “scusa” per un nostro eventuale errato comportamento; non ascoltiamo gli altri mentre parlano; interrompiamo frequentemente il nostro interlocutore; giudichiamo gli altri e li critichiamo; diamo consigli non richiesti; usiamo frasi “colpevolizzanti” e offensive; ci consideriamo i “migliori”; non accettiamo il punto di vista altrui, lasciamo poco spazio agli altri e tendiamo, anche inavvertitamente, ad imporci in continuazione.

Le persone aggressive dovrebbero imparare a distinguere tra le proprie opinioni e la realtà oggettiva: le cose non sono “belle o brutte”, “buone o cattive” di per sé, ma solo agli occhi di chi le giudica. Nel prossimo articolo approfondiremo lo stile assertivo.

Lo Stile di Comunicazione Passivo

I signori Rossi sono a pranzare in un ristorante.
Il sig. Rossi ha ordinato una bistecca al sangue, ma quando gliela portano, non la trova molto cotta, contrariamente a quanto aveva chiesto. Il sig. Rossi brontola con sua moglie per la carne "bruciacchiata" e osserva che non verrà più, in futuro, in quel ristorante. Non dice niente al cameriere, rispondendo "sì", quando questi gli chiede "se tutto andava bene".
Il pranzo e la serata del sig. Rossi sono rovinati ed egli si sente in colpa per non aver agito in nessuna maniera. La sua autostima e la stima di sua moglie in lui sono entrambe calate in seguito a questa esperienza. In questo caso il sig. Rossi si è comportato passivamente.

Per "comportamento passivo" s'intende, infatti, una persona che si contraddistingue per una serie di comportamenti che la portano a subire gli altri e a provare disagio. Subire gli altri può voler dire sia essere incapaci di dire no, sia essere incapaci di fare una richiesta o di esprimere le proprie idee, desideri e sentimenti come il sig. Rossi nell’esempio.
Un amico ci fa una richiesta, vorremmo rifiutare, ma diciamo ugualmente di "si"; ci fanno un complimento, proviamo disagio e non siamo in grado di rispondere; un conoscente esprime un’opinione che noi non condividiamo, vorremmo dire il nostro punto di vista, ma rinunciamo, sono tutti esempi di atteggiamenti e comportamenti passivi.

Ogni persona emette comportamenti passivi, aggressivi e assertivi a seconda delle situazioni: sul lavoro non diciamo quello che pensiamo al capoufficio che ci critica inferiorizzandoci, mentre in famiglia non ci pensiamo due volte a rimproverare aspramente un nostro caro. Ognuno di noi, però, ha la tendenza a manifestare comportamenti di un tipo, piuttosto che di un altro; si avranno, perciò, persone essenzialmente passive, altre aggressive, altre ancora, assertive.

La “persona passiva” riesce ad evitare o a far cessare un conflitto che può produrre ansia e può essere lodata dagli altri per il fatto di essere una persona che non crea mai problemi, ma tende ad inibire le proprie emozioni (dalla rabbia, all’affetto, alla scontentezza, alla gioia, all’amore, ecc.) a causa di momenti di imbarazzo, tensione, ansia o di sentimenti di colpa. Il risultato è che una persona che si comporta in maniera passiva difficilmente riesce a soddisfare un suo bisogno o un suo desiderio, ad instaurare rapporti con gli altri, a dire la sua opinione o ad accettare un complimento senza sminuirlo.
Spesso si sente “oppressa” e intimorita dagli altri e si scusa anche quando non è il caso, ha paura di sbagliare, ritiene che gli altri siano migliori di lei, ha bisogno dell'approvazione altrui, ha paura dal giudizio e teme le critiche. Inoltre, prova disagio alla presenza di persone che non conosce bene, ha difficoltà nel prendere decisioni e dopo aver aggredito una persona, si sente in colpa.
La frustrazione provata nelle relazioni può portare l’individuo passivo a sentirsi impotente e a sviluppare un'immagine di sé negativa. Ciò lo spingerà ad isolarsi sempre di più, a mantenere una bassa autostima e di conseguenza a continuare ad emettere comportamenti passivi. Non bisogna certo riconoscersi in tutte le caratteristiche citate per definirsi una persona passiva. Una volta individuati, però, questi comportamenti e le convinzioni rigide su di sé e sugli altri che contribuiscono a mantenerli nel tempo è possibile modificare se stessi ed eliminare il disagio provato. Nel prossimo articolo approfondiremo lo stile aggressivo.