mercoledì 16 luglio 2008

Le teorie naif: in che cosa consiste una psicoterapia (terza e ultima parte)

In articoli precedenti ho spiegato come ogni persona ha delle idee sia sulle cause della sofferenza (propria e altrui), sia su come si potrebbe agire per risolverla. Queste opinioni, il più delle volte, si basano però su una psicologia ingenua o teorie naif, più o meno distanti dal modello professionale dello psicoterapeuta.


Tra le teorie naif più comuni quella dell’incapacità riguarda l’idea secondo cui la propria sofferenza è causata da fattori interni alla persona come la mancanza di abilità, la mancanza di impegno o dalla conseguenza dei propri errori. Chi crede ciò pensa di stare male perché non riesce o non è stato in grado di evitare un certo danno (ad es. essere lasciato dal partner, sbagliare un esame, ecc..) o di ottenere un bene (ad es. essere amato, lodato, ecc..) e che potrà stare meglio solo se otterrà quello che desidera. Il motivo è quindi da rintracciare nella propria scarsa motivazione, ignoranza, insufficiente abilità, debolezza di carattere, ecc..

Invece, secondo la teoria del malfunzionamento biochimico o del sistema nervoso la sofferenza è causata dal funzionamento sbagliato del cervello o da una forza irrazionale come l’inconscio o l’emozioni indipendenti dalla propria razionalità che fanno agire l’individuo in modo non voluto. Chi pensa questo immagina che l’unico modo per stare bene sia vincere la battaglia contro i propri impulsi ed istinti.

Un’altra teoria ingenua attribuisce la sofferenza a cause esterne impersonali, ossia alla sfortuna, alla mancanza di soldi, agli astri, a forze o energie negative al di fuori del proprio controllo. Chi pensa questo vede se stesso essenzialmente alla mercé di cause esterne e quindi si percepisce come una vittima. Crede, inoltre, di poter stare meglio solo se l’ambiente in cui si trova sarà disponibile e benevolo nei propri confronti. Così non fosse, continuerà a stare male.

La teoria relazionale fa risalire la sofferenza al tipo di reazioni che una persona intrattiene con chi la circonda. Conflitti interpersonali, mancanza di affetto, esperienze traumatiche determinerebbero sofferenza indipendentemente dal modo in cui una persona valuta questi eventi. Va da sé che si può star bene solo se si riceve tutto ciò che è mancato nel passato o tutto ciò che si desidera in una relazione o portando a galla quelle esperienze traumatiche probabilmente inconsce che in qualche modo influenzano il proprio presente.

Altre teoria, come quella dello scienziato, dell’artista o dell’esploratore, invece, sono molto più vicine alle teorie psicologiche sulla sofferenza. Queste ultime sostanzialmente vedono l’individuo come un soggetto attivo che costruisce ipotesi o la realtà in forme diverse per raggiungere scopi e migliorare la propria conoscenza di sé e del mondo, procedendo per congetture e verifiche, per cui individuano nel soggettivo modo di vedere le cose la causa della sofferenza. La guarigione deriverebbe dalla comprensione di come si vedono le cose, dall’imparare a valutare in modo diverso se stessi e il mondo e dall’emettere nuovi tipi di comportamenti.

Qual è la vostra personale teoria sulla sofferenza e la guarigione?

Il trattamento dell'obesità

L’obesità è un disturbo complesso generato dall’interazione tra fattori genetici e ambientali. Non esiste una teoria univoca e chiara che spieghi come e perché si sviluppa questo problema, ma aspetti sociali, comportamentali, culturali, fisiologici, metabolici e fattori genetici concorrono globalmente a determinarla. Oggi l’attenzione rivolta a questo problema da parte degli specialisti e la ricerca di metodi di trattamento efficaci è in costante aumento.

Negli ultimi anni, infatti, le ricerche evidenziano un aumento degli individui in sovrappeso del 25%. Inoltre, si considera che circa 4 milioni di persone siano obesi. Nonostante il problema tocchi prevalentemente le persone intorno ai cinquant'anni, le ricerche svolte in tutto il mondo sono sempre più concordi nel sottolineare l’alta incidenza nella popolazione infantile di bambini in sovrappeso. In Italia, dati Istat indicano che il 35,9% dei bambini di dieci anni e il 30% delle bambine sono in sovrappeso. In generale, circa 14 milioni di italiani sono in sovrappeso. Secondo la comunità scientifica l’obesità è definita da un indice di massa corporea BMI > = 30 chili al metro quadrato, mentre il sovrappeso è tra 25 e 29,9. Il BMI si calcola dividendo il peso in chili per l’altezza (espressa in metri al quadrato: kg/(m)2.

E’ importante trattare l’obesità mediante un approccio multidimensionale: la combinazione di una dieta modificata, l’aumento dell’attività fisica controllata e la terapia comportamentale è risultata efficace. (National Institute of Health e National Heart, Lung and Blood Institute North American Association for the Study of Obesity; WHO). Questi tre interventi paralleli e integrati sono stati delineati attraverso precise linee guida; in generale essi prevedono:

  • Terapia dietetica. Il consumo di calorie dovrebbe essere ridotto di 500/1000 calorie al giorno a partire dal livello corrente quotidianamente assunto. La maggior parte delle persone obese e sovrappeso dovrebbe adottare aggiustamenti alimentari a lungo termine per ridurre l’introito calorico. La terapia dietetica include specifiche e scientifiche istruzioni per modificare la dieta corrente della persona per raggiungere l’obiettivo.
  • Attività fisica. L’attività fisica ha benefici sia diretti sia indiretti. Aumentare l’attività fisica è importante per ottimizzare la perdita di peso, perché aumenta il dispendio energetico e gioca un ruolo integrante nel mantenimento del peso. Inoltre riduce il rischio di malattie cardiache e può aiutare a ridurre il grasso corporeo. Tutti gli adulti dovrebbero pianificare obiettivi a lungo termine che permettano loro di accumulare almeno 30 o più minuti di attività fisica ad intensità moderata per la maggior parte dei giorni della settimana.
  • Terapia cognitivo-comportamentale. L’aggiunta della terapia cognitivo-comportamentale aumenta la motivazione al cambiamento e aiuta a seguire costantemente il programma terapeutico (attività fisica, dieta modificata). Questo tipo di terapia è un complemento utile per l’analisi e la modificazione dell’alimentazione e dell’attività fisica.

Il rilassamento muscolare

Abbiamo avuto un evento spiacevole e continuiamo a pensarci provando un profondo disagio. Stiamo guidando la macchina e l’auto di fronte a noi procede lentamente, incominciamo ad avvertire rabbia, tensione e ci agitiamo sempre di più. Una persona sta facendo un’affermazione che noi non condividiamo e ci adiriamo immediatamente.

Questi sono soltanto alcuni esempi di situazioni che possono creare una risposta emozionale intensa e provocare un comportamento esagerato, sproporzionato, evidenziando una carenza di autocontrollo. Se questo stato di tensione si mantiene per lungo tempo il nostro organismo subirà effetti debilitanti che potrebbero causare, a lungo andare, dei disturbi somatici, tra i quali: mal di testa costante, disfunzioni cardiocircolatorie, colite ed ulcere.

Uno stato ansioso è una reazione fisiologica in risposta alla percezione di un pericolo a cui si reagisce con un comportamento di attacco o di fuga. Ma l’ansia non è sempre un’emozione negativa. Ad esempio, l’atleta prima di una gara può essere sotto lieve stress. Questo stato di tensione fisiologico, aumentando la circolazione, la respirazione e il battito cardiaco può migliorare la prestazione sportiva. Al termine della gara il battito cardiaco e la tensione dovrebbero ritornare ad un livello normale. Quando però questo stato di alterazione è mantenuto nel tempo, la persona è sotto stress cronico.

I metodi di rilassamento consistono in procedimenti terapeutici aventi la finalità di ottenere nell’individuo una diminuzione della tensione muscolare e psichica attraverso specifici esercizi. Tra le varie metodologie esistenti, il rilassamento muscolare progressivo deriva dagli studi sulla fisiologia del sistema neuromuscolare compiuti da Edmound Jacobson e si basa sull’alternanza di contrazioni e decontrazioni della muscolatura volontaria eseguita in progressione, ossia per tappe, delle varie zone corporee (ad es. dei piedi, delle gambe, poi delle braccia e così via).

Lo scopo della tecnica è quello di diminuire l’eccitabilità della corteccia cerebrale per mezzo del controllo volontario del tono muscolare. Se una parte del corpo è rilassata non trasmette stimoli al cervello, di conseguenza, la zona corporea rilassata non riceve impulsi di ritorno dal sistema nervoso centrale. Attraverso la pratica continua degli esercizi di contrazione e decontrazione, al rilassamento muscolare si associa la quiete mentale resa possibile dall’avvenuta inibizione delle aree corticali corrispondenti ai muscoli rilassati.

Il rilassamento può essere generale, quando coinvolge tutto il corpo o un rilassamento parziale, quando esso interessa un gruppo muscolare. In questo modo è possibile realizzare contemporaneamente una tensione minima nei muscoli impegnati nell’esercizio ed un rilassamento negli altri, imparando a controllare gli eccessi di tensione nell’attività quotidiana.

Questa tecnica si è consolidata nel tempo acquisendo consensi sempre più vasti, per il suo largo impiego nelle psicoterapie cognitivo-comportamentali per il trattamento dell’ansia, del panico e delle fobie ed in tutte quelle aree in cui si richiede un autocontrollo; per l’economicità e la facile applicazione in tutte le situazioni della vita quotidiana; per la sua applicazione nell’ambito dei disturbi psicosomatici quali l’ulcera, la colite, le disfunzioni cardio-circolatorie, le sindromi asmatiche e le disfunzioni ormonali.