giovedì 16 ottobre 2008

La paura dei sintomi


La persona che soffre di attacchi di panico è spaventata dai sintomi che avverte. Tende a catastrofizzare, pensa cioè alla conseguenze peggiori, senza possedere prove sufficienti. Il catastrofismo è altrimenti detto pensiero “e se …?“E se fosse un attacco di cuore?”, “E se soffro fino a morire?”.
I pensieri catastrofici aggravano i sintomi fisici, che a loro volta rafforzano i pensieri catastrofici in un circolo vizioso che può mantenere il panico per ore, facendo vivere la persona nella paura che qualcosa di terribile possa capitare. Ma le sue sono interpretazioni errate che condizionano il suo comportamento e in generale la sua vita.
Inoltre, una volta che l’attacco di panico è avvenuto, la persona presta attenzione in modo “selettivo” al proprio corpo al fine di cogliere i primi segna li di ansia e tende a preoccuparsi continuamente riguardo la possibilità di stare di nuovo male e sui propri sentimenti e sensazioni.
La persona è convinta che tale atteggiamento sia utile al fine di mettere in atto strategie che possono evitare il panico. Ad esempio: la persona si concentra sulla respirazione per verificare se respira bene e se ha abbastanza aria. Queste persone possono interpretare l’affanno e la mancanza di aria come segni di soffocamento.
Per evitare di morire soffocati respirano profondamente e controllano il proprio respiro per prevenire le conseguenze temute. In realtà, facilitano così i sintomi dell’iperventilazione, quali capogiri, fenomeni dissociativi, aumento della mancanza di respiro, …
Se l’idea era quella di prevenire un attacco di panico, in realtà attiva egli stesso i sintomi dell’ansia.
Infatti, la tendenza a concentrare l’attenzione sui sintomi corporei mantiene l’ansia. Il problema di questa tendenza è che la concentrazione su di sé intensifica lo stato emotivo e i sintomi fisici e può aumentare la difficoltà a pensare. Il fatto di concentrarsi sui sintomi e di essere eccessivamente consapevoli del proprio corpo può far sembrare allarmanti le sensazioni.
Una strategia efficace per superare questo problema consiste nel ridurre i livelli elevati di concentrazione su di sé. A questo scopo ci si può esercitare con una tecnica chiamata “training attentivo".


giovedì 2 ottobre 2008

Cosa fare durante un Attacco di Panico (2/2)

Il lettore che ha raccontato la sua esperienza, ha descritto perfettamente cosa può accadere in situazioni in cui si inizia a provare ansia e, soprattuttto, come è opportuno imparare a reagire per gestire l'ansia acuta.
Ciò che ha scritto è quello che tutti i miei pazienti mi auguro apprendano in terapia per iniziare a vivere vite più serene e tranquille, senza sentirsi ostaggio del panico.

Molto ci sarebbe da dire sull'episodio descritto, ma voglio sottolinearne due elementi fondamentali:

  • la capacità di rimanere nel presente riorientando la propria attenzione dai sintomi ansiosi a ciò che succede intorno a sé (astenendosi dal giudizio catastrofico circa le proprie sensazioni fisiche e le conseguenze sociali negative),
  • la modificazione del proprio dialogo interno al fine di creare spiegazioni alternative alal prima conclusione catastrofica formulata, responsaile, in gran parte, dell'aumento e del persistere dell'ansia provata).
Mi sembra che questo lettore stia lavorando bene, continui così.
Grazie della testimonianza.

Cosa fare durante un Attacco di Panico (1/2)

Riporto sotto forma di post, per rederlo più visibile a tutti gli interessati, un commento ad un mio articolo sull'ansia da parte di una persona che soffre di Attacchi di Panico, in cui descrive il modo più efficace per gestire un episodio di ansia acuta. Aseguire la mia risposta.

"Vorrei raccontare di come sono riuscita a gestire una crisi d’ansia; può darsi che possa essere spunto di riflessione per chi, come me, soffre di questo disturbo. Premetto che da tempo sono seguita da un terapeuta e che assumo una terapia farmacologica.

La situazione è questa: sono ad una conferenza dove non conosco nessuno. Prendo posto e comincio a seguire. Ho una strana sensazione addosso, non mi sento tranquilla, è come se tutte quelle facce sconosciute avessero gli occhi puntati su di me. Il mio disagio aumenta. Mi accorgo che dietro di me ci sono due persone che stanno parlando a voce bassa, quasi ridacchiando.

'Staranno sicuramente ridendo di me e dicendo che sono ridicola'
, penso.

Cerco di rimettermi a seguire i vari interventi, quando di colpo avverto dei tremori.
Comincio a temere di avere l’ennesima crisi di ansia.
Mi risistemo sulla poltrona, frugo dentro la borsa, faccio finta di prendere appunti, ma… niente, il tremore persiste. Sento che il mio cervello “sta partendo in quarta”: 'Tutti mi staranno guardando, staranno vedendo che sto tremando, penseranno che sono pazza e si chiederanno che cosa ci faccio qui.' Mi sento gelare, il cuore batte all’impazzata. Vorrei uscire dalla sala, ma allo stesso tempo l’idea di farlo mi blocca: sarei maggiormente sotto gli occhi tutti. E’ come se fossi in trappola.

Così, visto che non riesco a calmarmi, decido di arrendermi e di prendere il mio xanax. Ma mentre sto per inghiottire la pastiglia mi dico: “Non voglio cedere per l’ennesima volta. Potrei provare a reagire mettendo in pratica le strategie che mi sono state insegnate. Cercherò di fare del mio meglio”
Metto in atto il primo passo, ovvero, mi concentro sul presente: 'Sono seduta su una poltrona imbottita, dalla stoffa rossa e ruvida. Le braccia appoggiano sui braccioli, la schiena ben dritta contro lo schienale, sento il peso del mio corpo sulla poltrona…'

Mi accorgo che ho smesso di tremare. So che è già un buon risultato. Tuttavia continuo ad essere molto tesa.
Allora procedo con il secondo passo: provo a dialogare con me stessa, in modo indulgente, senza criticarmi: 'E’ vero quando mi trovo in situazioni simili mi capita di tremare. Sono una persona ansiosa e questa è solo una mia reazione. E’ una cosa poco piacevole, ma ripetermi “smettila di tremare!” non mi serve. Ora come ora non so se gli altri abbiano notato i miei tremori. Magari non mi stavano nemmeno guardando. Non posso saperlo. E comunque, anche l’avessero notato? Potrebbero semplicemente aver pensato: “Quella persona sta tremando”, non è detto che mi abbiano giudicata. E può darsi che quei due dietro di me stessero raccontando una cosa divertente che era successa in ufficio…'

Fatto sta che dopo una decina di minuti mi sento meglio, più rilassata. Ma soprattutto sono soddisfatta perché non ho ceduto del tutto alla mia ansia.
E’ davvero incredibile quanto i nostri pensieri possano influenzare le nostre reazioni."