venerdì 29 gennaio 2010

Le distorsioni cognitive (pillole di auto-aiuto 5).


Cosa si sta pensando, determina in gran parte le nostre reazioni emotive e comportamentali in una certa situazione. Non solo che cosa si pensa è fondamentale per comprendere la motivazione alla base delle emozioni e dei comportamenti, ma anche come si pensa.

L’uso di particolari modi di valutare la realtà e di ragionare, detti “distorsioni cognitive”, contribuisce a creare pensieri disfunzionali e quindi ad alimentare stati d’animo negativi.

Tutti noi commettiamo errori di ragionamento, perché quando dobbiamo prendere una decisione o attribuire la causa a qualche evento, la conclusione a cui arriviamo non deriva da una dettagliata analisi logica di tutti gli elementi e le variabili che possono avere influenzato la situazione. La nostra mente funziona su un principio economico per cui cerca delle scorciatoie, si basa solo su alcuni elementi, salta alle conclusioni, invece di usare una logica ferrea, in ogni momento, in ogni situazione.

Gli errori di ragionamento possono causare problemi, quando vengono usati sistematicamente, con intensità, allora producono pensieri costanti disfunzionali, cioè pensieri poco realistici e determinano sofferenza emotiva. Le distorsioni cognitive possono essere riconosciute nel nostro flusso di pensiero, il dialogo interiore, e modificate allo scopo di riformulare pensieri più realistici, adattivi e funzionali al nostro benessere.

Proviamo insieme a vedere quali sono i passi fondamentali da svolgere:

1° Passo: Ascoltare il proprio monologo interno.

È importante che si ponga attenzione a ciò che io mi dico e non solo a ciò che dice l'altro. Ci si può aiutare tenendo un diario dei propri pensieri.

Esempio:

Evento

Pensieri

Sentimento

Appuntamento mancato

Io non sono importante, sono invisibile

Rabbia, tristezza

Lavare i piatti

Nessuno mi aiuta, devo fare tutto da sola

Tristezza

Cominciando ad osservare i pensieri e le emozioni che determinano le reazioni, si può cominciare a capire che alla base di un nostro comportamento non c'è solo una risposta al comportamento dell'altro ma anche un'idea iniziale preconcetta.

2° passo: identificare le proprie distorsioni cognitive

Una volta che si comincia a osservare il proprio dialogo interno è possibile cominciare ad indagare sulle proprie distorsioni cognitive. Le distorsioni cognitive più comuni che hanno maggiore impatto sulle relazioni interpersonali sono:

  • Il pensiero dicotomico (o tutto o nulla): una situazione o è un successo oppure è un fallimento, non esistono gradi intermedi, se una situazione non è perfetta è un completo fallimento (ad esempio, "Poiché la terapia cognitiva non risolverà tutti i miei problemi, perché dovrei farla?").

  • L’ipergeneralizzazione, il fare, come si dice, "di tutt’erba un fascio", un evento negativo non è semplicemente qualcosa che in quella circostanza è andata male, ma è la prova che la vita è fatta solo di eventi negativi.

  • L’astrazione selettiva (o filtro mentale) , cioè il puntare l’attenzione su di un solo aspetto (negativo) di una situazione ignorando tutto il resto (positivo) (ad esempio, il professore loda l’elaborato e suggerisce alcune modifiche marginali e questo viene vissuto come un giudizio negativo su tutto il lavoro senza tener conto dei giudizi positivi).

  • Il minimizzare i lati positivi: le cose positive sono in contrasto con la visione negativa e vengono perciò minimizzate, attribuite al caso o all’educazione, alla gentilezza degli altri ("era una cosa secondaria ... per una volta ho avuto fortuna ... lo dicono per educazione, perché certe cose non si dicono in faccia ...").

  • L’inferenza arbitraria, il saltare, cioè, alle conclusioni partendo da premesse che in realtà non giustificano tali conclusioni. Ad esempio, se il soggetto vede un conoscente che attraversa la strada prima di incrociarlo, penserà "Non ha voluto incontrarmi". In questo caso è in atto una seconda distorsione cognitiva:

  • la lettura del pensiero, ossia, essere convinti di sapere cosa pensa l'altra persona, senza prove che ne confermino questa convinzione.

  • La catastrofizzazione: il giudicare gli eventi negativi come intollerabili catastrofi, una brutta figura viene vissuta come una cosa terribile, un’umiliazione intollerabile.

  • Il ragionamento emotivo, il considerare, cioè, le reazioni emotive come prova di qualcosa ("Mi sento spaventato, questo vuol dire che la situazione è veramente pericolosa").

  • La doverizzazione: il giudicare se stessi e gli altri sulla base di ciò che uno "dovrebbe" comportarsi o sentire ("Se è un amico, deve stimarmi, perché bisogna stimare gli amici").

  • L’etichettamento: il definire le cose con un’etichetta globale invece che facendo riferimento a cose specifiche, come ritenersi "un fallimento" piuttosto che ammettere di essere incapaci di fare una cosa specifica.

  • La personalizzazione, il ritenere se stessi responsabili di qualcosa di cui, in realtà, sono soprattutto responsabili altre persone o altri fattori.

3° Passo: Considerare le relazioni tra pensieri e comportamenti

Osservando quotidianamente il proprio dialogo interno, evidenziando le distorsioni cognitive e ile emozioni che ci caratterizzano possiamo cominciare a chiederci: "cosa mi dico quando mi sento in questo modo?", "quando agisco in questo modo?"

4° Passo: Sfidare e cambiare le distorsioni cognitive

Una volta riconosciute le distorsioni è utile esercitarsi per modificarle. Anche se è un lavoro difficile e non si è supportati da uno specialista, si può ricorrere ad un elenco di domande per metter indiscussione le distorsioni cognitive.
Vediamole:

  • Quale evidenza è a favore della mia interpretazione?

  • Quale evidenza potrebbe essere contraria alla mia interpretazione?

  • C'è una spiegazione alternativa per il comportamento del mio partner?

  • Ci sono altri motivi o sensazioni che possono averlo spinto ad agire in quel modo?

  • Quello che penso è sempre vero o ci sono eccezioni?

  • Se sto generalizzando o etichettando, posso descrivere la situazione in modo più accurato e specifico?

  • Posso riformulare una parte del mio dialogo interno tenendo conto delle informazioni acquisite attraverso queste riflessioni?

giovedì 7 gennaio 2010

Il dialogo interno (Pillole di auto-aiuto 4)

Come descritto negli articoli precedenti inerenti il dialogo interno, che cosa si sta pensando, determina le nostre reazioni emotive e comportamentali in una certa situazione.

Non è facile, però, rendersi conto di quali pensieri ci passano per la testa quando agiamo o proviamo forti emozione negative, come ansia, rabbia, tristezza, perché col tempo diventano quasi automatici.

Inoltre, la maggior parte delle volte questi pensieri sono disfunzionali, perché sono poco realistici e controproducenti, non ci aiutano cioè a raggiungere i nostri scopi.

Un pensiero disfunzionale è quindi:
  • automatico, ossia compare alla mente inconsapevolmente e velocemente se non si presta molta attenzione;
  • distorto, in quanto non è corrispondente ai fatti, non si basa su delle prove certe, su ciò che è accaduto realmente e quindi è inaccurato;

  • controproducente, perché provoca malessere e ostacola il raggiungimento degli obiettivi;

  • involontario, non può infatti essere scelto ed è difficile da allontanare dalla mente. Se individuiamo e modifichiamo questi pensieri “negativi”, possiamo diminuire e cambiare le nostre reazioni emotive più intense e sgradevoli.
Pensare in modo più funzionale, però, non vuol dire rifiutare tutti i pensieri negativi, non vuol dire pensare “positivo”, ma significa vedere se stessi e ciò che ci sta intorno in modo realistico in maniera da aumentare le possibilità di affrontare le situazioni con successo.

E’ fondamentale distinguere tra pensiero disfunzionale, illusorio o positivo e funzionale. Ecco un esempio:
  • p. disfunzionale: “E se non riuscissi a farcela? Sarebbe terribile, un disastro! Non riuscirei a sopportarlo!”, oppure “Non ho passato l’esame, ciò prova che sono un fallito e un buono a nulla, non avrò nulla di buono dalla vita.”
  • p. illusorio: “Ci riuscirò senz’altro. Andrà tutto bene.”, oppure “Non me ne importa niente. Quell’esame non sarebbe servito a niente in ogni caso…”
  • p. funzionale: “Ce la poso fare. Non è necessario essere perfetti, cercherò di impegnarmi e fare del mio meglio. Se le cose non andranno come vorrei, sarò deluso, ma non per questo disperato.”, oppure “Mi dispiace non essere passato all’esame, ma posso ritentare e fare meglio.”
Come è possibile osservare, diverse espressioni distinguono le tre forme di pensiero.
Ogni volta che ci diciamo “Devo…”, “Bisogna assolutamente…”, “E’ terribile…”, “E’ Insopportabile…”, formuliamo un pensiero disfunzionale che innesca una emozione negativa spesso esagerata e di conseguenza un malessere di cui possiamo fare a meno.

Prestiamo attenzione alle espressioni che usiamo in ciò che ci diciamo nel proprio dialogo interno, aiutiamoci con domande quali, “Che cosa peso di me?”, “Che cosa penso degli altri?”, “Che cosa penso della situazione?”, “Che cosa temo che succeda?”, “Sto usando le espressioni, ‘Devo…’, “E’ terribile…”, ecc…?”

Nel prossimo articolo vedremo come l’uso di particolari modi di valutare la realtà e di ragionare, detti “distorsioni cognitive”, contribuiscono a creare pensieri disfunzionali e quindi ad alimentare stati d’animo negativi.