domenica 14 settembre 2008

Le undici trappole emotive più comuni

“Vivere in una trappola emotiva” è come finire all’interno di ripetitivi modi di pensare, di sentire, di comportarsi e di relazionarsi con se stessi e gli altri, tali da compromettere importanti aree de funzionamento affettivo, lavorativo e sociale. I più comuni problemi portati dalle trappole li abbiamo visti nell’articolo precedente; ora proviamo a capire come si originano e quali sono le trappole.

Ogni bambino ha bisogni fondamentali che, se adeguatamente soddisfatti durante la propria crescita, gli consentiranno di avere uno sviluppo psicologico sano e positivo. Questi bisogni possono essere raggruppati in sei categorie:
  1. sicurezza di base;
  2. rapporti interpersonali;
  3. autonomia;
  4. autostima;
  5. espressione di sé;
  6. presenza di limiti realistici.

E’ come se venisse fatto qualcosa al bambino (o non fatto, in alcuni casi) da parte della propria famiglia o da altri, coetanei e adulti, e questo qualcosa perdura sin dalle prima fasi della vita come una sorta di tema dominante, una storia il cui finale altro non è che la ricostruzione delle condizioni della propria infanzia e adolescenza che hanno fatto stare più male.

Quando la mancanza di sicurezza fisica e psicologica viene a mancare nell’ambiente familiare e sociale in cui si è vissuti possono formarsi le trappole dell’Abbandono e/o della Sfiducia.

Quando si è incapaci di condurre una vita autonoma sono presenti le trappole della Dipendenza e/o della Vulnerabilità.

Le trappole della Deprivazione Emotiva e dell’Esclusione Sociale, invece, riguardano l’intensità e la qualità dei propri rapporti affettivi, intimi e sociali.

Difficoltà e problemi di autostima sono il segno della presenza delle trappole dell’Inadeguatezza e/o del Fallimento.

Quando si è incapaci di manifestare le proprie esigenze e soddisfare i propri bisogni abbiamo a che fare con le trappole della Sottomissione e/o degli Standard Severi Allorché si è incapaci o si hanno difficoltà ad accettare limiti realistici nella propria vita, si è alle prese con la trappola della Pretese.


Queste sono le trappole più comuni e si perpetuano principalmente perché danno origine a comportamenti e reazioni che si consolidano nel tempo per far fronte all’inadeguata soddisfazione dei bisogni di base.

Il modo in cui un bambino si adatta ad un ambiente “nocivo” sono tre:

  1. arrendendosi alla trappola,
  2. evitandola o
  3. ipercompensando la sua presenza.

Ad es. per fronteggiare la trappola di Inadeguatezza (il senso di essere cattivi, malvoluti, inferiori o incapaci, che può includere un’ipersensibilità alle critiche, al rifiuto e ai rimproveri; il sentirsi osservati, oggetto di paragoni e insicuri in contesti sociali; oppure un senso di vergogna dovuto alla perce­zione dei propri difetti) un bambino può:

  1. Arrendersi (continua ad essere criticato) > trova amici ipercritici;
  2. Evitare (non vuole provare il dolore della critica e del rifiuto che si aspetta dagli altri) > evita di stringere rapporti con le persone;
  3. Ipercompensare (agisce come se il pensiero opposto alla trappola fosse vero) > adotta un atteggiamento critico e superiore nei confronti degli altri.

Nei prossimi articoli approfondiremo il significato e l’esperienza di ciascuna trappola e come queste influiscono nella propria vita.

giovedì 11 settembre 2008

Le dimensioni dell'Autostima




Nell’articolo precedente abbiamo visto come l’autostima derivi dalla discrepanza tra il Sé percepito e il Sé ideale.


Il concetto di Sé, e di conseguenza l’autostima, è articolato in varie dimensioni correlate agli aspetti della vita che sono importanti per noi.


Le principali dimensioni dell’autostima riguardano:

L’autostima sociale (o interpersonale): comprende i sentimenti della persona riguardo a se stessa come amica di altri. Le altre persone la considerano simpatico? Apprezzano le sue idee? La ricercano per coinvolgerla in attività? E’ soddisfatta delle relazioni che intrattiene con gli altri?


L’autostima scolastica: è il valore che l’individuo attribuisce a se stesso come studente. Questa dimensione non è semplicemente una valutazione delle capacità e dei successi scolastici. Questi, infatti, vengono comparati con le proprie aspettative. Se si riesce a raggiungere i propri standard di successo scolastico (standard modellati dalla famiglia, dai compagni e dagli insegnanti), allora la propria autostima scolastica sarà positiva.


L’autostima familiare: riflette i vissuti che una persona prova come membro della propria famiglia. Chi sente di essere un membro apprezzato della sua famiglia, che dà il proprio contributo e che si sente certo dell’amore e del rispetto di genitori e fratelli, avrà un’alta autostima in questo ambito.


L’autostima corporea: è una combinazione di aspetto fisico e di abilità. Consiste nella soddisfazione che una persona prova rispetto al proprio corpo e alle proprie prestazioni. Culturalmente le ragazze sono più attente agli aspetti estetici e i ragazzi alle performance atletiche. Negli ultimi anni, però, i ruoli tradizionali stanno subendo dei cambiamenti.
L’insieme di queste valutazioni costituisce l’autostima globale quindi la propria idea (concetto) di Sé.


Le cause della bassa autostima possono essere dovute ad un ideale di Sé troppo elevato, ad una percezione distorta di Sé o ad un’oggettiva disabilità.

Migliorare l’autostima è possibile, ma è necessario individuare a quale livello e in quale dimensione deve essere posta la causa responsabile del basso livello di stima di sé. Così, una bassa autostima scolastica può essere compensata da una buona autostima sociale e familiare oppure una scarsa autostima corporea può essere compensata da un’alta autostima scolastica. L’eventuale intervento potrà perciò riguardare il ridimensionamento degli ideali irreali, la modificazione dell’autopercezione o il potenziamento delle abilità.

domenica 7 settembre 2008

I Disturbi del Comportamento Alimentare (alcuni dati)


I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono diventati un problema di rilevanza sociale. In Italia circa 65.000 donne (tra i 15 e i 24 anni) soffrono di Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa: si stimano 8.500 nuovi casi all’anno.

Non si tratta tuttavia di un problema solo femminile, si rileva, infatti, un aumento di incidenza anche tra gli uomini (il 5 e il 15% delle persone con anoressia o bulimia e circa il 35% delle persone con disturbo da alimentazione incontrollata).

I DCA più diffusi sono l'anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata. Essi sono frequentemente associati a depressione, abuso di sostanze e disturbi d'ansia (ossessioni e compulsioni e fobie sociali in particolare).
Inoltre, le persone affette da DCA soffrono spesso di complicazioni a livello fisico, come patologie cardiache e insufficienza renale, che possono condurre alla morte.

I DCA non sono dovuti a mancanza di volontà.

Sono vere e proprie malattie curabili nelle quali certe abitudini alimentari errate diventano schemi comportamentali disadattivi fuori dal controllo dell'individuo.

DCA si sviluppano frequentemente durante l'adolescenza e la prima età adulta, anche se alcune ricerche indicano la possibilità del loro sviluppo sin dall'infanzia e anche nella maturità.

Nell’adolescenza, quando ci si confronta con il mondo esterno e si deve costruire il senso della propria identità adulta, il desiderio di avere un corpo adeguato alle aspettative altrui è una tematica frequente. Autostima, senso del proprio corpo e comportamento alimentare sono, soprattutto in quell’età, strettamente legati.

L’Anoressia Nervosa (AN) è caratterizzata:

  1. dal rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l'età e la statura;
  2. dall’intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso;
  3. dall’alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo;
  4. dall’eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima o dal rifiuto di ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso e da cicli mestruali rari o assenti.

Il fatto stesso di mangiare diventa un'ossessione. Vengono, infatti, sviluppate abitudini alimentari inconsuete come saltare i pasti, evitare il cibo, scegliere determinati cibi e mangiare solo quelli ritenuti “non pericolosi” in piccole quantità oppure pesare attentamente ogni porzione di cibo.

Vi può essere la tendenza a controllare il proprio peso continuamente oppure ad impegnarsi in altre strategie per mantenere il peso sotto controllo, come la pratica intensa e compulsiva di esercizio fisico, il purgarsi con il vomito, i lassativi o i diuretici.

Il tasso di mortalità fra persone con AN è stato stimato intorno allo 0,56% per anno, percentuale che è circa 12 volte maggiore della mortalità media annua della popolazione femminile dovuta a cause di vario tipo nella fascia di età 15-24 anni. Le più comuni cause di decesso sono dovute a complicazioni del disturbo, come arresti cardiaci o scompensi elettrolitici e suicidio.

I DCA possono essere curati e il peso regolare ristabilito con appropriati interventi. Quanto prima questi disturbi vengono individuati ed affrontati, tanto migliori saranno i risultati della terapia.
A causa della loro complessità i DCA devono essere affrontati con un approccio multidisciplinare che comprenda cure e monitoraggio medico, psicoterapia, consulenza nutrizionale e, se necessaria, la somministrazione di farmaci.

L'Autostima


L’autostima è il risultato della valutazione delle informazioni contenute nel concetto di sé, ossia la costellazione di elementi cui una persona fa riferimento per descrivere se stessa.


Le informazioni riguardano le proprie prestazioni e le esperienze apprese in relazione agli eventi e alle situazioni nei vari contesti di vita in cui la persona interagisce (familiare, sociale, scolastico, lavorativo, sportivo, ecc…). La valutazione è sia soggettiva, cioè personale e autonoma, sia dipendente dalla reazione e dal giudizio altrui alle proprie prestazioni.


È possibile esaminare la formazione dell’autostima pensando al Sé percepito e al Sé ideale.
Il Sé percepito equivale al concetto di Sé: una visione di quelle abilità caratteristiche e qualità personali che sono presenti e assenti.
Il Sé ideale è l’immagine della persona che ci piacerebbe essere: non in modo frivolo (vorrei essere miliardario; vorrei essere una star del cinema), bensì piuttosto nel desiderio convinto di possedere determinate qualità. Per esempio un ragazzo che dà valore al successo scolastico ed è un bravo studente sarà soddisfatto di se stesso. Per contro un ragazzo il cui Sé ideale consiste in una grande popolarità tra i compagni, ma che nella realtà ha pochissimi amici, soffrirà di bassa autostima.

In altre parole possiamo pensare all’autostima in questi termini: “Autostima = Risultati reali/ Aspettative ideali”.

È la discrepanza tra Sé percepito e Sé ideale che crea problemi di autostima.

Una buona autostima viene considerata una visione sana ed equivale ad avere realisticamente carenze e difetti, ma non essere ipercritici nel considerarli. Una persona con un’autostima positiva si valuta in modo positivo e si sente bene in virtù dei suoi punti di forza, quali che siano. Se un individuo è in gran parte soddisfatto di se stesso, questo non implica che egli non desideri in alcun modo essere differente; al contrario, una persona che ha fiducia in se stessa spesso lavora sodo per migliorare le sue aree di debolezza, e tuttavia si perdona se talvolta manca il bersaglio e non riesce in un intento.

Ci sono persone con bassa autostima che di frequente esibiscono un atteggiamento artificioso di fiducia in se stesse agli occhi del mondo, nel tentativo di provare agli altri e a se stessi che sono persone all’altezza. Altre persone si ritirano invece in se stesse, timorose del contatto con gli altri poiché sono convinte che prima o poi verrebbero rifiutate. Una persona con bassa autostima è essenzialmente convinta che ci sia poco in lei di cui andare fieri.
Il concetto di Sé, e di conseguenza l’autostima, sono articolati in varie componenti correlate agli aspetti della vita che sono importanti per noi.

In un prossimo articolo approfondiremo le principali dimensioni dell’autostima.

mercoledì 3 settembre 2008

Cosa si può fare se si soffre di un Disturbo Ossessivo Compulsivo (3)

Di seguito ho sintetizzato alcune miei risposte a domande pervenutemi al blog inerenti il disturbo ossessivo compulsivo.

"Il problema iniziale con i pazienti che sofforno di disturbo ossessivo-compulsivo riguarda il fatto che sono convinti delle proprie valutazioni circa il significato dei pensieri intrusivi/ossessivi.

Il primo passo, perciò, è quello di sviluppare una maggior consapevolezza del ruolo delle loro convinzioni/valutazioni che stanno alla base della loro sofferenza.

Generalmente queste convinzioni rientrano nelle categorie della fusione pensiero/evento o pensiero/azione, in cui i confini tra pensiero ed eventi/azioni diventano labili e confusi.
Per esempio potrebbero pensare che il fatto di avere un certo pensiero possa far accadere un evento o il fatto di avere un certo pensiero significhi che probabilmente (o sicuramente) è già accaduto ("Se penso che posso far del male al bambino, allora probabilmente lo farò"). Questa convinzione porta al comportamento di evitamento di qualsiasi contatto con il bambino."

Cosa si può fare se si soffre di un Disturbo Ossessivo Compulsivo (2)

Di seguito ho sintetizzato alcune miei risposte a domande pervenutemi al blog inerenti il distrubo ossessivo compulsivo.

"La tecnica di Esposizione con Prevenzione della Risposta (ERP) è molto versatile e può essere applicata in modo flessibile.
Rimane il fatto che, pur essendo la tecnica terapeutica più efficace per il DOC può essere molto difficile attuarla per il paziente, soprattutto se perdurano le convinzioni riguardo la necessità di agire le complusioni.
In questi casi un intervento volto a milgiorare la motivazione all'uso della tecnica risulta indispensabile.
Nei casi in cui ci sia la presenza di attacchi di panico, un intervento mirato alla loro gestione può essere utile. La paura dei sintomi d'ansia e della paura in generale è l'aspetto principale del panico, a ciò si può sommare l'ansia derivante dalle ossesioni e le convinzioni negative che la persona ha nei confronti della propria ansia (p.e. "non riesco a tollerarla!") e delle conseguenza negative dell'ansia (p.e. "se continua a star male, impazzisco, muoio o perdo il controllo!")."

Cosa si può fare se si soffre di un Disturbo Ossessivo Compulsivo (1)

Di seguito ho sintetizzato alcune miei risposte a domande pervenutemi al blog inerenti il disturbo ossessivo compulsivo.

"Nella maggioranza dei casi è opportuno che chi è coinvolto nelle dinamiche familiari più strette con la persona che soffre (di Disturbo Ossessivo-Compulsivo, DOC) possa seguire un percorso (anche breve) non necessariamente di terapia personale, ma "solamente" di educazione al disturbo in oggetto, per capire come funziona, come gestirlo e come aiutare la persona che ne soffre e perchè e manifestare il proprio disagio e imparare a gestirlo al meglio.

Questo tipo di disturbo non è di facile comprensione, soprattutto perchè ad occhi non esperti le sue manifestazioni possono sembrare strane se non addirittura bizzarre e chi ne soffre può vergognarsi dei propri pensieri e di ciò che fa.
Questo non aiuta ad affrontare corettamente e con forza il problema, perchè c'è il rischio di manifestare una depressione secondaria al principale problema d'ansia.

Il DOC è un disturbo subdolo, che richiede molto impegno, ma le tecniche terpaeutiche per contrastarlo e superalo sono piuttosto efficaci, è indispensabile che si intraprenda la terapia più opportuna per questo tipo di disturbo.

La difficoltà a prendere farmaci può rallentare i progressi, ma questo non vuol dire che da sola la terapia non può dare quelche sollievo.

E'importante capire che i penseri ossessivi, in realtà, sono piuttosto comuni e normali, ciò che li rende ossessivi è il non accettare di averli e il valutarli in uncerto modo.
"Normalizzare" questo aspetto può essere un primo passo terapeutico. Certo molte persone non capiscono cosa succede, ma ogni attività ossessiva ha una motivazione.
Capire la motivazione è capire il particolare modo di giudicazre e valutazre i pensier ossessivi e le condotte compulsive della persona.

Inoltre, le compulsioni agiscono da fattori di mantenimento delle ossessioni e dell'ansia ad esse associate, più evito e controllo.

Il modo milgiore per uscirne è quello di evitare di evitare e di fare compulsioni e di lasciare che l'ansia vada via da sola, senza a gire una complusione. questa procedura terapeutica si chiama esposizione e prevenizione della risposta, sembra semplice e banale, ma è molto delicata ed è opportuno che solo terapeuti cognitivi e comportamentali esperti addestrati aiutino la persona ad affrontare questi passi. inoltre, oltre a rompere il condizionamento tra ossessione-ansia-compulsione-ossessione è fondamentale "ristrutturare" tutte quelle convinzione personali resonsabili della particolare valutaione di quei pensieri che la persona identifica come intrusivi e che non accttati e, soppressi ed evitati divengono assillanti."