martedì 10 novembre 2009

Il dialogo interno (Pillole di auto-aiuto).


Pensare e immaginare sono attività costanti, i pensieri si formano in continuazione nella nostra mente, perciò li chiamiamo automatici. Facciamo sogni a occhi aperti sul pranzo o il fine settimana o ci preoccupiamo delle commissioni che dobbiamo sbrigare. Questi sono tutti pensieri automatici.

In psicoterapia cognitiva siamo interessati a quei pensieri automatici che ci aiutano a capire le emozioni e i sentimenti intensi.
Questi pensieri possono essere costituiti da parole (“Sarò preso in giro”), immagini (ci si può vedere al centro dell’attenzione, con i volti delle persone che si fanno beffe di noi), oppure ricordi (il ricordo di quella partita di calcio in cui abbiamo sbagliato un’azione e i compagni e l’allenatore si sono tutti messi a ridere).

Nell’articolo “l’ABC delle emozioni” abbiamo visto come questo modo specifico di parlare a noi stessi è talmente veloce e dato per scontato, da avere l’impressione che siano le situazioni a scatenare le nostre emozioni e i nostri comportamenti. In realtà è ciò che pensiamo della situazione che influisce sulla qualità delle proprie reazioni:

A)evento esterno -> (B)interpretazione dell’evento -> (C)emozioni e comportamenti.

Spesso tutti i motivi di un disagio vengono attribuiti a situazioni a noi esterne, così è forse più facile biasimare e dare la colpa agli altri e alle situazioni, piuttosto che prenderci la responsabilità delle nostre reazioni. Ma è accettando la semplice verità dell’esistenza del dialogo interno, che possiamo acquisire un maggior controllo sulla nostra vita senza sentirci completamente impotenti e in balia degli eventi esterni.

Se ci rendiamo conto che le nostre reazioni alle situazioni possono essere controllate, il nostro senso di efficacia aumenta, così come l’autostima e la consapevolezza di avere in mano il controllo della propria vita.

Se le situazioni ci fanno soffrire, perché non decidiamo di cambiare e di affrontare in modo diverso i momenti difficili? E’ possibile farlo, ricordando che possiamo essere noi gli artefici del nostro benessere, del nostro successo.

Come?
Restate sintonizzati...

Il perfezionismo patologico.



Il perfezionismo patologico ha due aspetti:
1- è centrato su aspettative su se stessi, gli altri e la vita irrealisticamente ed eccessivamente alte. Basta poco, quindi, perché qualcosa risulti inferiore alle aspettative e la reazione sia di profonda delusione e/o di severa critica.
2- è attento quasi esclusivamente alle piccole imperfezioni e agli errori in voi stessi e nel vostro lavoro. Prestando attenzione a ciò che è sbagliato, tende a sottovalutare e ad ignorare cosa è giusto.

Il perfezionismo è una causa comune di bassa autostima. Critica ogni sforzo e convince che nulla è mai abbastanza buono. Può anche arrivare a causare stress cronico, spossatezza ed esaurimento. Ogni qualvolta il perfezionismo consiglia "dovresti", "dovevi" o "devi fare", si tende ad agire sotto la spinta dell'ansia, piuttosto che delle inclinazioni e dei desideri spontanei.
Più si è perfezionisti, più facilmente si è predisposti ad essere ansiosi. Superare il perfezionismo eccessivo è possibile, ma richiede un cambiamento fondamentale dell'atteggiamento verso se stessi e del modo in cui ci si adatta alla vita in generale.
Sostanzialmente è necessario riconoscere e superare gli stili di pensiero perfezionistici.

Il perfezionismo si esprime attraverso il modo in cui si parla a se stessi.
Ci sono tre tipi di pensieri caratteristici di un atteggiamento perfezionistico:
1- "Pensiero Dovrei/Devo",
2- "Pensiero Tutto-o-Nulla" e
3- "Iper-Generalizzazione".

Ecco alcuni esempi, confrontati con un atteggiamento meno rigido, pensate ci sia una differenza tra i due modi di pensare?

Dovrei/Devo: "Dovrei essere capace di farlo bene." => "Farò del mio meglio.", "Non devo commettere errori." => "E' possibile commettere errori."
Tutto-o-Nulla: "E' tutto sbagliato." => "Non è tutto sbagliato. Alcune parti sono OK e altre richiedono attenzione." "Non posso farlo tutto." => "Se lo suddivido in passi abbastanza piccoli, posso farcela."
Iper-Generalizzazione: "Faccio sempre le cose sbagliate." => "Non è semplicemente vero che faccio sempre le cose sbagliate. In questo caso particolare, tornerò indietro e farò le dovute correzioni." "Non sarò mai capace di farlo." => "Se faccio piccoli passi e mantengo uno sforzo costante, col tempo porterò a termine ciò che ho programmato di fare."

Spendete una settimana annotando tutti i casi in cui siete coinvolti in pensieri "dovrei/devo", "tutto-o-nulla" o in iper-generalizzazioni. Verificate ciò che dite a voi stessi le volte in cui vi sentite particolarmente ansiosi o stressati. Quante volte usate termini del tipo "dovrei", "devo", "dovevo", "sempre", "mai", "tutto" o "nessuno"?
Nelle settimane successive, provate a formulare, per ogni pensiero perfezionistico, pensieri meno rigidi per incoraggiarvi a sviluppare un approccio alla vita meno perfezionistico e ripeteteli ogni volta che dite a voi stessi termini del tipo "dovrei", "devo", "dovevo", "sempre", "mai", "tutto" o "nessuno".

mercoledì 7 ottobre 2009

Il Disturbo d'Ansia Generalizzato (DAG).

La caratteristica principale del Disturbo d’Ansia Generalizzato (DAG) è la rimuginazione, vale a dire l’eccessiva preoccupazione per numerosi eventi o situazioni della vita quotidiana.
Il soggetto che soffre di DAG deve presentare almeno tre dei seguenti sintomi: mancanza di riposo e sensazione di irascibilità; facile e ricorrente affaticamento; difficoltà di concentrazione; facile irritabilità; disturbi del sonno; tensione muscolare.
Chi soffre di DAG non riesce a rilassarsi ed è in continua apprensione per numerosi eventi della vita quotidiana (il lavoro, la famiglia, la scuola, ecc…) vissuti come minacciosi e potenzialmente pericolosi.

La caratteristica specifica del DAG è una sensazione persistente e ricorrente di preoccupazione eccessiva ed incontrollabile. Le rimuginazioni sono vissute come disturbanti ed impossibili da scacciare.
Queste preoccupazioni sono di due tipi:

tipo 1) riguardano eventi giornalieri come la paura di incontrare certe persone o paura di commettere errori nel lavoro o il timore di non essere in grado di superare un esame o una interrogazione;
tipo 2) riguardano la preoccupazione di essere preoccupati e non riuscire a scacciare i pensieri preoccupanti.

Le persone ansiose presentano un particolare quadro psicologico caratterizzato da numerosi doverizzazioni come il bisogno di essere sempre perfetti e di non potersi mai permettere neanche il minimo errore.

Alcune persone ad esempio già al mattino si sentono tesi perché temono di non poter essere in grado di svolgere adeguatamente un dato compito lavorativo. Altri ancora temono il giudizio della gente, dei familiari o dei superiori oppure attribuiscono eccessiva importanza a un qualche aspetto della vita come la carriera, il successo, le apparenze esteriori, ecc….

Le rimuginazioni di tipo 2 riguardano generalmente le seguenti preoccupazioni:

- non ho il controllo delle mie rimuginazioni;
- le preoccupazioni possono farmi impazzire;
- le rimuginazioni sono pericolose per il cuore e per le malattie;
- potrebbero non scomparire più;
- potrei essere sopraffatto dalle preoccupazioni.

La terapia Cognitivo – Comportamentale del DAG consiste nel ridimensionamento delle preoccupazioni riconducendole al reale problema e riducendo o ridimensionando le apprensioni catastrofiche. Il primo passo consiste nel riconoscimento delle preoccupazioni; il secondo nel ricondurle alla realtà dei fatti; il terzo passo consiste nella soppressione delle rimuginazioni bloccandole al loro immediato comparire attraverso tecniche terapeutiche, quali i “periodi di preoccupazione controllata”, le “tecniche in immaginazione”, gli “esperimenti comportamentali” e “la modifica del dialogo interiore”.

mercoledì 16 settembre 2009

La scelta efficace.


Negli articoli precedenti inerenti l'assertività abbiamo visto che essere assertivi significa vivere con serenità i nostri rapporti con gli altri con l’equilibrio di chi non subisce e non aggredisce; sostenere la propria integrità e dignità e allo stesso tempo incoraggiare ed accettare questo comportamento negli altri. E’ assertivo colui che è capace di iniziare, continuare e portare a termine le interazioni sociali, possibilmente con facilità ed a proprio agio.

Alla base dell’assertività ci sono una serie di abilità sociali, tra le quali, chiedere ciò che si desidera, rifiutare ciò che non si vuole ed esprimere i propri desideri positivi e negativi agli altri. Dato che il comportamento assertivo implica un’interazione con un’altra persona, esso comporta il possesso e soprattutto la capacità di attuare nella vita di tutti i giorni queste abilità.

Possiamo migliorare la nostra competenza interpersonale attraverso l’apprendimento di efficaci strategie per richiedere ciò di cui si ha bisogno, per saper di dire di no e per gestire i conflitti interpersonali. “Efficacia”, in questo contesto, significa ottenere i cambiamenti desiderati mantenendo la relazione interpersonale e il rispetto di sé.

Abbiamo anche visto che le persone hanno il diritto, ma non l’obbligo di essere assertive. Nelle scelte individuali siamo responsabili delle conseguenze delle nostre scelte. Una scelta efficace, però, dipende fondamentalmente dall’obiettivo che si vuole raggiungere in una determinata situazione.
Le nostre abilità sociali dipendono quasi interamente dalla capacità di analizzare la situazione in cui ci troviamo e di identificare gli obiettivi prioritari.

Secondo la psicoterapeuta Linehan, l’efficacia interpersonale comprende tre tipi di efficacia:

1- l’efficacia negli obiettivi (perseguire i propri obiettivi e le proprie mete in una data situazione),
2- l’efficacia nelle relazioni (promuovere o mantenere una buona relazione),
3- l’efficacia nel rispetto di sé (mantenere o migliorare il rispetto e la stima di sé).

Inoltre, tutti e tre i tipi di efficacia devono essere presi in considerazione in una situazione problematica e, in una data circostanza, si attribuisce più o meno importanza ad uno o più di essi. Ad esempio:

- un vostro caro amico vi telefona dicendovi che ha lasciato una cosa importante in ufficio e avrebbe bisogno di un passaggio perché la sua auto non è disponibile e voi volete vedere la partita della squadra del cuore alla tv.
1. Obiettivo: vedere la partita.
2. Relazione: mantenere un buon rapporto con l’amico.
3. Rispetto di sé: equilibrare le necessità dell’amico alle vostre.

L’efficacia della vostra scelta, e di conseguenza del vostro comportamento, dipenderà dalla vostra priorità. Cos’è più importante per voi in questo caso? Vedere la partita, mantenere una buona relazione o agire in modo tale da mantenere positivi sentimenti verso voi stessi?

lunedì 7 settembre 2009

La fobia sociale (ansia sociale).




La fobia sociale, chiamata anche ansia sociale, è un disturbo caratterizzato da un’ansia molto intensa e da un’eccessiva attenzione a se stessi durante le situazioni sociali quotidiane.
Le persone che sofforno di questo disturbo hanno una paura persistente di essere osservate e giudicate dagli altri ansiose, deboli, "pazze" o stupide e di trovarsi in grave imbarazzo o umiliazione a causa delle loro azioni.
Possono, quindi, evitare di mangiare, bere o scrivere in pubblico per timore di rimanere imbarazzati dal fatto che gli altri possano assistere ad un loro comportamento inadeguato o suscettibile di giudizio negativo, come il tremore delle loro mani, oppure temere di parlare in pubblico o con estranei perché preoccupati di dimenticare quello che devono dire, oppure per la paura di apparire poco chiari o di esprimere opinioni “stupide” o che non interessano nessuno.

Le persone che soffrono di ansie sociali sono molto sensibili alle critiche e al rifiuto, hanno difficoltà ad esprimere opinioni, sentimenti e desideri e hanno una bassa autostima.
Spesso questo determina un’estrema ansia anticipatoria che precede per giorni o settimane le situazioni temute e grosse difficoltà a fare amicizie e a mantenerle, col risultato di provare ansia praticamente ogni volta in cui si trovano in mezzo ad altri. Allora la fobia sociale può essere molto invalidante, può arrivare ad impedire di andare al lavoro o frequentare la scuola per molti giorni.

Inoltre questa forte ansia è accompagnata da sintomi fisici quali palpitazioni, tremori, sudori, tensione muscolare, nausea, secchezza delle fauci, vampate di calore, arrossamenti e mal di testa. Questi sintomi contribuiscono ad aumentare la paura della disapprovazione e possono diventare essi stessi motivo di paura e di eccessiva attenzione e controllo da parte della persona.

Nonostante molte persone con ansia sociale riconoscono che i loro timori sono eccessivi, non riescono comunque a gestirli, arrivando così a colpevolizzarsi ulteriormente per le loro condotte evitanti.

Ma ciò che caratterizza in modo particolare il disturbo non è tanto la paura del giudizio altrui, quanto le reazioni emozionali che queste persone hanno nei confronti di quel giudizio, reale o immaginario che sia.
Essenzialmente ciò di cui hanno paura i fobici sociali è l'intima esperienza di sentirsi imbarazzati, colpevoli, vergognosi, disgraziati, rifiutati o umiliati: credono che provare queste emozioni sia un'esperienza insopportabile e sono convinte di non essere in grado di poterle padroneggiare e superarle.

Gli ansiosi sociali considerano, in modo irragionevole, i loro comportamenti assolutamente evidenti e quindi impossibili da non notare, di conseguenza vivono le situazioni come se tutti li osservassero e li giudicassero, anche quando il più delle volte ciò non accade. Fortunatamente, come tutti i disturbi d’ansia, la fobia sociale è trattabile con ottimi risultati attraverso le procedure di terapia cognitiva e compotamentale scientificamente sperimentate.