giovedì 20 novembre 2008

Che cos'è una Fobia




Il termine fobia deriva dal greco “phobos” che significa panico, terrore, fuga.

Ha inoltre la sua radice in una divinità dallo stesso nome che incuteva terrore ai nemici; i guerrieri dipingevano la sua effigie sulle armi. Ancora oggi il termine mantiene il significato originario.

Sanavio e i suoi collaboratori (1986) definiscono la paura come un fenomeno normale e adattivo atto a proteggere l'individuo dal pericolo, uno stato transitorio dell'individuo esplicitamente connesso a condizioni specifiche o situazioni-stimolo definite: la risposta di paura cessa nel momento in cui tali situazioni vengono a cessare.

Nel soggetto fobico sono presenti invece risposte soggettive, fisiologiche e di evitamento molto più accentuate rispetto al soggetto che ha semplicemente paura di determinate situazioni.


In particolare, Marks (1969) individua i seguenti elementi semiologici, utili a comprenderne la specificità. Una fobia:

  1. È sproporzionata rispetto alla realtà della situazione.
    Ciò significa che la maggior parte delle persone reagirebbe con indifferenza o bassi livelli di ansia agli stessi stimoli. (es.: il claustrofobico non riesce a fare una cosa per noi molto facile: prendere l’ascensore).
  2. Non può essere controllata mediante un'analisi razionale.
    Spiegare la genesi del disturbo, i meccanismi di mantenimento, la non pericolosità delle situazioni temute e l’assurdità della paura non riduce in alcun modo il problema.
  3. Sfugge al controllo volontario.
    Vani sono gli appelli all’autocontrollo. Il fobico reagisce ai segnali di pericolo con risposte apprese che hanno carattere di automatismo. Egli non è in grado di controllare le alterazioni del sistema nervoso autonomo quali il battito cardiaco, respirazione, pressione sanguigna, sudorazione, temperatura, tensione muscolare, scariche di adrenalina, ecc. Tutte queste risposte fisiologiche elicitate dallo stimolo fobico sono il risultato di un apprendimento (condizionamento classico). Il loro effetto congiunto è talmente potente e rapido da far stare male il fobico e indurlo alla fuga.
  4. Produce l'evitamento della situazione temuta.
    La fuga è una strategia di emergenza. Generalmente il fobico prevede in modo accurato tutte le situazioni che lo possono mettere in ansia e le evita sistematicamente. La sua vita può subire forti limitazioni in funzione di questa strategia. L’agorafobico che non esce di casa perde il lavoro, gli amici, gli abituali svaghi. Il bambino con la fobia della scuola è danneggiato nell’apprendimento.

Inoltre, una fobia permane per un periodo prolungato di tempo senza risolversi o attenuarsi; comporta un certo grado di disadattamento per l'interessato e infine l'individuo riconosce che la paura è irragionevole e che non è dovuta a effettiva pericolosità dell'oggetto, attività o situazione temuta.

martedì 11 novembre 2008

Perchè ci si ammala di Anoressia e Bulimia? (2 di 2)

Il Disturbo del Comportamento Alimentare (vera e propria patologia di origine psichica che coivolge il corpo in modi drammatici e a volte tragici) diviene un'autocura, un'autoterapia che la persona adotta come soluzione della valutazione negativa di sé, del bisogno di sentirsi accettati, efficaci e di esprimersi nel mondo.

E' come se le persone che soffrono di questo disturbo lasciassero entrare in casa propria la malattia con i suoi sintomi dandole le chiavi, perchè questa promette loro di raggiungere i propri obiettivi, convincendole che grazie ad essa potranno finalmente piacersi, sentirsi efficaci e forti, potranno esprimersi come persone indipendenti e autonome, potranno acquisire quel valore personale tanto agognato, quanto non percepito.

Tutto ciò controllando (solo) il proprio corpo e il proprio peso...

Questa soluzione, che all'inizio della sua messa in pratica, offre qualche risultato che farebbe ben sperare per il futuro, dimostra tutta la sua inefficacia col tempo, quando l'accadere di eventi e situzioni della vita rendono lo scopo del controllo assoluto difficile da realizzare.

Coloro che adottano questa soluzione (falsa), più percepisco di non riuscire a tenere tutto sotto controllo (e prima o poi succede a tutti), più la paura di non farcela aumenta, così come si intensifica il timore di rinunciare alla malattia/soluzione, l'unico metodo che fino ad allora hanno sperimentato in grado di poterle fare stare bene (la similitudine con la dipendenza dalle droghe è molto forte).
In questo contesto, le relazioni con gli altri sono sempre più minacciose, perchè queste persone potrebbero fallire nel loro progetto esistenziale di controllo e rivelare al mondo e a se stesse il proprio fallimento, la propria incapacità e inadeguatezza (come evidenziato nella prima parte dell'articolo).

Ecco che allora rinforzano il controllo al fine di mantenere alta l'autostima restringendo la propria attenzione e i propri sforzi per raggiungere e/o mantenere un certo peso, certe forme corporee e un certo controllo alimentare, perpetuando circoli viziosi di mantenimento dei sintomi. La loro mente non ha spazio per altri pensieri è invasa dalla malattia, la quale, paradossalmente invitata ad entrare, ora comanda e detta leggee non ha nessuna intenzione di sloggiare.

La persona ha creduto (e in molti casi ancora crede) che tramite la "soluzione anoressica" poteva ottenere un controllo sulla propria vita; beffardamente è la malattia che "controlla" la persona.

sabato 8 novembre 2008

Perchè ci si ammala di Anoressia e Bulimia? (1 di 2)


Le persone che soffrono di anoressia e bulimia sono generalmente ansiose, intensamente timorose di sbagliare. Questa tendenza ad evitare gli errori è sorretta da un'intensa paura perchè per loro, commettere uno sbaglio, significa essere un fallimento totale come persona.
Inoltre, queste ragazze e questi ragazzi non hanno paura di un evento particolare, ma temono di non essere in grado di controllare il proprio comportamento, le proprie emozioni, di non emettere comportamenti adeguati e di lasciar intravedere agli altri con troppa evidenza ciò che spesso pensano di se stessi: idee personali di inferiorità e inadeguatezza ed emozioni di ansia e vergogna. Infatti, ogni volta che queste persone si trovano in una relazione in cui si può essere giudicati o si rischia di provare una forte delusione, ogni emozione dell’area del giudizio (vergogna, colpa), blocca il pensiero.
Le emozioni, perciò, non vengono pensate e non viene loro attribuito un senso (permettendo di evolversi in sentimenti), ma provate nella loro totalità e concretezza, intense e continue e quasi sempre vengono attribuite al corpo (ad es. “sono triste”, può diventare “sono brutta e grassa”).
Avendo difficoltà a dare un nome a ciò che si prova, le aspettative che si possono intuire negli altri diventano il mezzo per fare chiarezza su quello che si sta provando. Il senso di sé, viene quindi definito su un criterio esterno: le aspettative altrui. Il giudizio altrui diventa la valutazione di sé e della propria identità.

Puntando tutto sull’esterno e non avendo una sufficiente abilità autoriflessiva, le aspettative che si percepiscono sono le più semplici e concrete: essere certi che gli altri ci vedano sempre in modo esclusivamente positivo.
Queste persone hanno imparato che un'intollerabile abbassamento dell'autostima può avvenire in ogni circostanza, per ogni errore commesso e ad ogni difficoltà nell'adeguarsi a standard elevati, ma paradossalmente il proprio senso di fallimento è conseguenza del proprio irrinunciabile progetto di non sbagliare mai (un vero e proprio perfezionismo patologico).

Il controllo assoluto diviene quindi un'intenzionale ricerca di soluzione all'incertezza e all'ansia di sbagliare.

Il bisogno degli altri per dimostrare che si è una persona di valore, entra in conflitto con l’intollerabilità che siano gli altri a decidere su dove si deve valere.

Può accadere, quindi, che all'aumento del senso di inadeguatezza personale si sommi l’esperienza di sentirsi in trappola, dominati e controllati dalle altre persone, in una vincolante relazione di dipendenza, in una dinamica tra compiacenza e ribellione, tra l’essere troppo vicini agli altri o troppo lontani.

La soluzione può perciò viene trovata nel riconoscimento del proprio valore da parte degli altri, ma solo su aspetti che la persona stessa decide.

E poiché sono pochi gli aspetti della propria vita su cui è possibile avere un controllo assoluto (anche se piacerebbe occuparsi personalmente di ogni aspetto della propria vita), l’attenzione viene rivolta verso se stessi in generale e verso il peso e l’alimentazione in particolare (e solo dopo aver raggiunto il peso ideale si avrà la certezza di poter farcela in tutto il resto).

giovedì 6 novembre 2008

Le trappole emotive dell'Abbandono e della Sfiducia



Continuiamo l'esplorazione delle “trappole emotive”, la cui origine e sviluppo è stata descritta in articoli precedenti.
Ricordo che “vivere in una trappola emotiva” è come finire all’interno di ripetitivi modi di pensare, di sentire, di comportarsi e di relazionarsi con se stessi e gli altri, tali da compromettere importanti aree del funzionamento affettivo, lavorativo e sociale.

Quando la mancanza di sicurezza fisica e psicologica viene a mancare nell’ambiente familiare e sociale in cui si è vissuti possono formarsi le trappole dell’Abbandono/Instabilità e/o della Sfiducia/Abuso.
In questi casi una o più esperienze di separazione e rifiuto, realmente provate o intensamente percepite nell'infanzia, sin dai primi mesi di vita, possono sviluppare nell'individuo l'aspettativa secondo la quale non è possibile prevedere se i propri bisogni di sicurezza, protezione, stabilità, cure, empatia, condivisione emotiva, accettazione e rispetto saranno soddisfatti o meno.
In genere, la famiglia d'origine è fredda, distaccata, rifiutante, non disponibile, isolata, esplosiva, imprevedibile o abusante. I genitori non sono disponibili in modo prevedibile, sia fisicamente, sia psicologicamente; i maltrattamenti e liti superano la norma; lutti e abbandoni sono prolungati. Minacce di abbandono e abuso possono derivare dalle persone su cui il bambino conta di più, che dovrebbero proteggerlo e prendersi cura di lui.
Le sensazioni che qualcosa di brutto possa accedere da un momento all’altro (instabilità), che non ci si sente al sicuro, la paura che chi si ama posa far loro del male o lasciarli, il senso di vulnerabilità e fragilità, sono le più comuni. Così come stati d’animo intensi e instabili e comportamenti impulsivi e autolesionistici. Da adulti chi ha queste trappole può sviluppare una forte dipendenza e attrazione dall’instabilità.

Cadere nell'Abbandono/Instabilità significa arrovellarsi o essere dominati dall'idea che le persone vi lasceranno e finirete col rimanere soli, senza legami affettivi; perché le persone che secondo voi dovrebbero garantire supporto e presenza sono percepite come instabili o imprevedibili. Oppure vengono sentite come incapaci di fornire supporto emotivo, presenza, forza o aiuto pratico in maniera continuativa, in quanto emotivamente instabili e imprevedibili (per es.: possono manifestare degli scoppi di rabbia), inaffidabili o presenti in maniera discontinua, perché in fin di vita, o perché vi abbandoneranno per qualcuno migliore di voi.
Le persone in preda alla Sfiducia/Abuso, invece, si aspettano che gli altri le facciano del male o commettano abusi nei loro confronti: le imbroglino, mentano, manipolino, umilino, le costringano a subire maltrattamenti o che in qualche modo si approfittino di loro. Hanno diffidenza nei confronti delle intenzioni altrui; temono che le persone amate le tradiscano; tengono una distanza di protezione, evitando le relazioni o intrattenendo solo relazioni superficiali, se non con persone che le trattano male, per poi provare rabbia e desiderio di vendetta.
In genere, implica la percezione del danno subito come intenzionalmente procurato dagli altri o come conseguenza di una negligenza ingiustificata. Può comprendere la sensazione di sentirsi sempre "fregati" dagli altri o di ottenere sempre "la fetta più piccola della torta".