mercoledì 14 aprile 2010

Perché gli arbitri commettono degli errori?



Ogni settimana il mondo del calcio non è solo costellato da gesti atletici memorabili dei propri protagonisti, ma anche, e soprattutto in Italia, dalle mille polemiche sugli arbitri e sulla loro conduzione di gara, sui loro continui errori di valutazione. Le vicende di calciopoli, tornate alla ribalta in quest'ultimo periodo, hanno messo in luce, tra gli scandali appurati, la direzione di partite non del tutto imparziale, per usare un eufemismo, di alcuni arbitri, può aver dato spiegazione ai diversi clamorosi errori di valutazione dei direttori di gara.
Ciò non toglie, però, la possibilità di commettere un errore, nonostante la buona fede e la lealtà sportiva, perché arbitri e guardalinee sono pur sempre uomini e, come tali, sono soggetto ai limiti percettivi e attentivi del proprio cervello, come chiunque altro.

In altre parole, nessuno è perfetto, ma possiamo impegnarci per fare del nostro meglio. Ecco, allora, che alcuni ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Firenze, aiutano i tifosi ad essere più comprensivi, dimostrando scientificamente (in uno studio comparso su PLoS Biology) come gli arbitri “sbagliano con convinzione”.

I ricercatori hanno rilevato come in una condizione di confusione percettiva, cioè in presenza di numerosi stimoli distraenti (
per sempio il fuorigioco), l’arbitro non solo sbaglia con maggiore probabilità, ma è anche molto più certo di aver visto qualcosa che non ha visto.
Contrariamente, quindi, da quanto ci si potrebbe ragionevolmente aspettare, l’arbitro nutrirebbe molti meno dubbi, più sono numerosi gli stimoli distraenti in campo, in una circoscritta zona di gioco. Si realizzerebbe un'artificiosa e illusoria certezza, probabilmente a causa delle caratteristiche del cervello di gestione di una situazione percettiva troppo complessa per le sue possibilità di codifica.

Infatti, di fronte all’interazione di molteplici elementi che generano un problema (es. decidere se è rigore o meno una determinata azione di gioco) e alla necessità di trovare una soluzione, si attiva un caratteristico stato mentale denominato “modello mentale del fare”, allorché viene percepita una discrepanza tra l’idea di una cosa come dovrebbe essere e come invece è nella realtà (ad es. è o non è fuori gioco?). Questa modalità di funzionamento mentale spinge automaticamente e inconsapevolmente la mente a esaminare le cause e le possibili soluzioni.

La discrepanza percepita genera uno stato emotivo di disagio, che si manterrebbe permanentemente se la discrepanza non venisse corretta (cioè, se una soluzione non venisse mai trovata). Inoltre, spesso la mente automaticamente e inconsapevolmente cerca di manipolare le proprie idee (percezioni, ricordi, pensieri) pur di trovare una soluzione (è fuorigioco) che possa interrompere ed eliminare definitivamente lo stato di disagio.

Durante una partita accadono molte situazioni importanti in cui viene richiesto di prendere una decisione in pochissimo tempo e senza ripensamenti, con convinzione; lo stato mentale del “fare” viene costantemente attivato. Basterà questa spiegazione per essere più comprensivi o meno sospettosi la prossima volta che un arbitro commetterà un errore di valutazione a sfavore della propria squadra del cuore?

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