giovedì 19 giugno 2008

Le 4 sfide del Disturbo Ossessivo Compulsivo

Prima sfida
Esperimento: provate a non pensare alle parole “cane nero” per tre minuti.

Ci siete riusciti?


Probabilmente no, perché i tentativi di opporsi all’attività mentale orientano l’attenzione agli stessi pensieri che cerchiamo di evitare. Nel momento stesso in cui pensate di non pensarci, ci pensate: è il paradosso dell’intenzionalità.

E’ uno dei circoli viziosi che mantengono il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC): quando arriva un’ossessione, la prima cosa che si fa è resisterle, contrastarla, scacciarla dalla propria mente. Questo non fa che intensificarla. Dal momento che resistere non funziona provate qualcosa di nuovo: accettate l’arrivo di un pensiero ossessivo. E’ anche la prima sfida da affrontare per chi vuole liberarsi del DOC.
Pensare “accetto di avere questa ossessione in questo momento” può risultare strano, ma cosa succede quando pensate: “Non voglio avere questi pensieri, sono terribili!”? L’ansia e la paura aumentano. Ogni tentativo di controllo, soppressione ed evitamento di questi pensieri è controproducente.


Seconda sfida

Nella seconda sfida bisogna essere determinati a gestire il disturbo. Affrontare il DOC vuol dire venire a contatto con le proprie paure: è importante essere consapevoli che si soffrirà a breve termine per ottenere dei vantaggi a lungo termine.
Ci vogliono coraggio e determinazione perché si dovrà rischiare adottando comportamenti opposti alle azioni ritualizzate che generalmente mette in atto chi ha il DOC. Il dubbio di aver fatto la cosa giusta, la paura di non riuscire faranno breccia nella mente, ma non si dovrà mollare. Quando ci si ritroverà in queste situazioni, non perdere di vista i vantaggi di una vita senza ossessioni e compulsioni diventa un imperativo se si vuole superare le difficoltà, perché l'impegno è arduo e il desiderio di cedere è costantemente presente. Vantaggi ben chiari ci daranno la spinta motivazionale per accettare la sfida, in quanto ci ripagheranno di tutto lo sforzo compiuto.


Terza sfida

Il problema più grave che si trovano ad affrontare le persone che soffrono di disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è l’ansia che provano nei confronti di idee e cose per le quali si rendono conto che non vale la pena angosciarsi, perché eccessive o assurde.
Alla domanda: “Che cosa la disturba?”, di solito le persone con DOC rispondono: “Non riesco a smettere di preoccuparmi di non aver controllato bene o che le mie mani siano sporche…” e così via. Il punto fondamentale è che, qualunque cosa facciano per alleviare l’ansia, la spinta a controllare o a lavarsi non scomparirà.
Questo perché il disagio che le ossessioni provocano è così intenso da confondere le idee e da portare le persone a credere che il contenuto dei pensieri ossessivi (cioè il motivo per il quale si preoccupano, ad es. avere qualcosa di sporco o l’idea assillante di non avere chiuso il gas) sia di reale importanza. Comprendere che il contenuto dell’ossessione è irrilevante, di nessuna utilità, senza un vero significato è la terza sfida che la lotta al DOC propone.
Il DOC è un disturbo d’ansia non un disturbo del pensiero; ciò che è realmente importante gestire è l’ansia non il pensiero ossessivo.

Una persona con il DOC potrebbe pensare: “Oh mio Dio, ho pensato di poter urlare in pubblico cose oscene! E’ un pensiero orribile! Perché ho avuto questo pensiero? Non posso fidarmi di me stesso. Potrei farlo accidentalmente!”
Fate caso al significato che questa persona attribuisce al contenuto dell’ossessione: sono la paura e il dubbio di poter perdere il controllo delle proprie azioni ad innescare la ricerca ossessiva di un controllo assoluto; è arrivato un pensiero e si è spaventata, l’ha interpretato come pericoloso e ha tentato di scacciarlo.

In realtà il contenuto del pensiero in sé ha poco significato. L’80% della popolazione può avere questi tipi di pensieri, ma ciò che differenzia le persone con DOC è il fatto che si spaventano e molto: il pensiero diventa significativo perché è accompagnato da un’intensa ansia.

Si può parlare, quindi, di “ossessioni non patologiche” e “ossessioni patologiche” all’interno di un continuum in cui le prime sono normali processi di pensiero comuni alla maggior parte della popolazione e le seconde sembrano differenziarsi per quantità e frequenza: creano più intense reazioni emozionali, s’impongo più tenacemente contro la volontà e persistono per tempi più lunghi.

In generale è comunemente accettato che le “ossessioni patologiche” permangono quando il loro contenuto è valutato pericoloso o di estrema importanza per la persona; di per sé, infatti sono un fenomeno normale e decadono, ciò che le differenzia dalle “intrusioni non patologiche” è l’esistenza di particolari meccanismi di pensiero, di elaborazione dell'informazione e di credenze/schemi disfunzionali che caratterizzano il disturbo e lo mantengono.
Poiché meccanismi e credenze intervengono nell’interpretazione e valutazione dei pensieri intrusivi, devono essere modificate per favorire il processo terapeutico. Questo è l'obiettivo della psicoterapia cognitiva, che centra la sua attenzione sulla modificazione di tali processi di pensiero automatici e disfunzionali.

In particolare è stato identificato un:
- eccessivo senso di responsabilità: i pazienti con DOC, in particolar modo quelli che temono le conseguenze dannose sugli altri, piuttosto che su sé stessi, delle proprie trascuratezze, ritengono spesso che l'avere una qualunque influenza sull'esito di un determinato evento negativo equivalga all'esserne totalmente responsabile;
- eccessiva importanza attribuita ai pensieri: per chi soffre di DOC, avere un pensiero in testa significa di per sé che esso è importante;

- sovrastima della possibilità di controllare i propri pensieri: i pazienti DOC, non tollerando la presenza di pensieri negativi per i motivi sopra illustrati, fanno di tutto per contrastarli e liberarsi la mente, senza considerare che noi non possiamo decidere di non pensare a qualcosa e che abbiamo un controllo soltanto parziale sul nostro flusso di pensieri;
- sovrastima della pericolosità dell'ansia: l'ansia è un'emozione normale e non pericolosa; i sintomi fisici dell'ansia possono essere molto sgradevoli, ma non portano mai alla perdita di controllo del proprio comportamento e, prima o poi, tendono a scomparire spontaneamente anche se la persona non fa niente per tranquillizzarsi. I pazienti DOC, invece, tendono a confondere lo stato confusionale che l'ansia può indurre come segno di un imminente perdita di controllo e a ritenere che il malessere fisiologico ad essa correlato aumenti all'infinito o rimanga stabile nel tempo, a tal punto da essere intollerabile o dannoso per l'organismo.


Quarta sfida

Quando percepiamo un pericolo il cervello è più sensibile e facilmente associa la sensazione di pericolo (l’ansia) al pensiero. Ciò che conta è la sensazione, ecco perché alcune persone possono controllare di avere spento il gas per ore, ma avere ancora la sensazione sgradevole che sia ancora aperto. E questo ci porta alla quarta e ultima sfida: è importante ciò che fate.
Il DOC, infatti, vuole farci credere che solo adottando un comportamento ritualizzato (una compulsione, come continuare a controllare il gas) si possa alleviare l’ansia.
In realtà facendo una compulsione non si sfiderà mai quest’idea e non si scoprirà quanto sia errata. E’ come l’uomo che ogni mattina, alla stessa ora, si piazza sull’uscio di casa; incuriosito il vicino gli chiede il motivo di quel comportamento. Perché se non lo facessi i leoni entrerebbero, risponde l’uomo; ma non ci sono leoni in città, osserva il vicino; al che l’uomo risponde: “Hai visto come funziona?!”.
E’ fondamentale perciò focalizzare l’attenzione su un altro comportamento che ci coinvolga e ci distragga dall’ossessione e non commettere l’errore di attendere passivamente che pensieri ossessivi e impulsi assillanti scompaiano da soli.

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